Sono molti, a Siena, a credere che il Palio del 16 agosto 1967, col suo sorprendente epilogo, sia stato governato da una forza oscura e inspiegabile, quasi magica.
Si sapeva, anzitutto, che Bruco, Pantera e Tartuca avevano avuto in sorte i migliori cavalli. Alcuni ci aggiungevano anche il Leocorno e la Selva, ma soltanto come ipotesi in più, che difficilmente si sarebbero verificate. Arianna del Bruco appariva la più forte. Ettore della Pantera poteva vincere, ma soltanto se Sambrina della Tartuca e Arianna, considerati superiori, avessero avuto difficoltà tali da non mettersi subito in testa. Quanto a Selvaggia della Selva era un cavallo potente: ma non tanto da battere tutti gli altri.
C'era tuttavia un precedente che non lasciava del tutto tranquilli Ciancone, cioè Beppe Gentili, fantino del Bruco, e i brucaioli. Arianna infatti, non finiva sempre regolarmente i tre giri. Al terzo, alla voltata di San Martino, invece di lanciarsi giù per la scesa, dal verso giusto, si buttava a sinistra al Chiasso Largo, come se avvertisse che era quella la strada per tornare alla stalla.
Nel Palio di luglio questo capriccio di Arianna fu causa di un finale a sorpresa. [...] Che cosa si poteva fare per togliere quel vizio al cavallo? I brucaioli, innanzi tutto, pensarono che era meglio, nelle prove delle Contrade, di non impegnare troppo la bestia.
Il Chiasso Largo esercitava una specie di incanto per il cavallo e il barbaresco non glielo fece più avvicinare. Anche quando i barberi venivano accompagnati al Cortile del Podestà, prima delle corse che precedono il Palio, si aveva cura di fare un lungo giro per entrare e uscire da Salicotto. Il cavallo doveva scordare quel varco.
Eppure, mentre i brucaioli si adoperavano perché Arianna dimenticasse, e non interrompesse più la corsa come era successo anche quando si era trovata insuperabilmente prima, nelle altre Contrade, dove si conosceva il valore di Arianna, si confidava proprio in questo vizio.
Bazza, il fantino della Selva, lo aveva dichiarato anche pubblicamente, la sera della vigilia: "Il mio cavallo, Selvaggia, è forte nelle corse alla lunga, ma sofferente al tufo del Campo. Non credo di potermi portare subito in testa. Il mio cavallo è resistente, rinviene alla distanza. Io mi contenterei di essere secondo al terzo giro, dopo Arianna".
E con una segreta speranza in cuore: "Basterebbe una esitazione sola, ed io saprei approfittarne..."
Era già successo troppe volte, nonostante che Arianna avesse corso vittoriosamente, qualche anno avanti, anche in altre Contrade, compresa quella della Selva. E nelle previsioni della vigilia l'eventualità che Arianna abbandonasse il Campo era sospettata da molti.
Gli unici che non ci credevano, in fondo, erano proprio i brucaioli. Avevano accolto quel cavallo, quando fu estratto, con una vampata di giubilo. Erano pronti a gioire e cantare, dopo le prove, quando non erano molti i cavalli a impegnarsi, e il Bruco, nonostante la prudenza di Ciancone, arrivava facilmente primo.
E così si arrivò alla corsa del Palio. Il Bruco aveva predisposto le cose in modo che - per forza di cavallo, valentìa di fantino, accorgimenti dei faccendieri del rione, che avevano promesso lauti compensi agli avversari, perché Arianna non venisse ostacolata - la vittoria non sarebbe sfuggita.
Si diceva che alcuni fantini si erano venduti. Tra i cavalli della Carriera, Arianna era considerata ancora imbattibile. Ettore e Sambrina restavano tra i più temibili competitori. Poi, si diceva, ci potrebbe essere il Leocorno, chissà. O Selvaggia: ma scapperà bene alla mossa? E' forte, ma non così veloce...
La folla si accalcava nella Piazza e palchi e finestre rigurgitavano di spettatori. Il Campo, come ogni volta, offriva un colpo d'occhio ineguagliabile. La conchiglia, zeppa fino a fare scoppiare le cancellate, sembrava un panforte nero con le mandorle tritate minutamente come chicchi di avena. Le camicie dei giovani, le bluse delle ragazze, portavano all'assembramento fitto macchie festose di colore. Sul cielo vagavano infiniti palloncini che come bolle rosse, gialle o celesti superavano le torri e i merli, raggiungevano la corona del Mangia e il Campanone dove il bandierino della Balzana puntava decisamente, come un presagio, verso il Duomo: "Stalloreggi, Castelvecchio, Vallepiatta?"
Nel cortile del Podestà Ciancone, con uno sguardo che lampeggiava, con un sorriso sinistro sul volto patito, aguzzo, appoggiava le mani sul collo di Arianna, all'ordine di montare a cavallo. Bazza si allacciava lo zucchino di ferro, dopo averci messo un santino, l'immagine della Madonna del Voto.
L'uscita dei cavalli dall'Entrone veniva accolta dal tumulto di sempre; invocazioni, improperi, fischi, grida di incitamento. La marcia verso la mossa era di una calma drammatica, nell'abbraccio incandescente dell'arena.
I cavalli si disposero ai canapi davanti al Palco dei Giudici, in un silenzio elettrico. Tutti gli occhi erano fissi verso la mossa. Le bocche sembravano, per un istante, tacere, prima di lanciare l'urlo prolungato, infinito, che accompagna i tre giri della corsa. Alcuni cavalli prendevano docilmente, in apparenza, la posizione assegnata; ma il Nicchio già cominciava ad abbandonare il suo posto ed a gettare scompiglio. Molti fantini parlavano tra loro: le ultime concitate promesse, i "partiti" prima di lanciarsi nella lotta.
Il Bruco era pronto a saltare il canape. Pantera, Tartuca e Leocorno erano parimenti attenti.
La Selva stava al canape, ordinata, immobile. Bazza stringeva con calma il suo nerbo.
Ma v'erano cavalli, nell'attesa della partenza, che cambiavano indebitamente di posto, seguendo l'esempio del Nicchio, e non sembrava che il mossiere riuscesse a metterli in ordine. Fece scattare anche il canape, con la Giraffa che prese subito la testa, Selva e Bruco alle spalle, e gli altri meno pronti a mettersi dietro. La superiorità di Arianna si fece subito valere, ma per il Bruco fu un giro sprecato. Poi, avendo dato il mortaretto l'annullo della partenza, i cavalli rallentarono, ubbidendo alle briglie si fermarono, tornarono al canape, si rimisero nello stesso ordine già dato dal mossiere, e il Nicchio uscì ancora una volta dal posto assegnatoli per tornare vicino all'Oca, con l'evidente intenzione di danneggiarla.
Questa volta la mossa fu buona. Fu la Selva a scappare prima, seguita dal Bruco. Ma i cavalli non erano ancora arrivati a mezzo giro prima di San Martino, e il Bruco era già in testa, invano ostacolato dal nerbo di Bazza. Volava, solo, verso la vittoria, accompagnato da un urlo immenso, l'urlo di gioia dei brucaioli e dei loro alleati, l'urlo di entusiasmo e di ammirazione delle decine di migliaia di forestieri presenti alla corsa, l'urlo di scontento e di rabbia degli avversari.
Era il secondo giro e sembrava per il Bruco una marcia trionfale.
Già c'era chi correva verso Via del Comune a suonare le campane ed a prendere le bandiere gialle, verdi e azzurre.
Quella folla di cinquantamila spettatori credeva nella vittoria del Bruco, ma, allo stesso tempo, pensava invincibilmente che Arianna, al terzo giro, si sarebbe fermata al Chiasso Largo.
Ci pensavano i selvaioli: "Ora non ci manca che volti a sinistra, e s'è vinto..."
Ci pensava Bazza, che da tre giorni avevamo visto col viso rattratto, con lo sguardo fissato, dominato da una sola idea...
Ci pensavano molte dei brucaioli: "S'è vinto, se Arianna non si ferma..."
Ci pensava anche Ciancone, al terzo giro quando, pago, rallentò l'incitamento alla bestia, rendendola più vulnerabile all'influsso della corrente magnetica che si componeva, potente, sprigionandosi da più volontà...
Al terzo giro Arianna vide al Chiasso Largo una folla gesticolante, che già sconfinava sulla pista: i portantini della Pubblica Assistenza, le guardie, i palcaioli, i barbareschi che attendono l'arrivo dei cavalli per la ripresa, gli intrusi, che facevano segni di gioia, che agitavano le braccia, ergevano barriera quasi per far argine al cavallo, che non si fermasse. E forse, dopo il primo giro a vuoto, dopo gli altri due giri trionfanti, Arianna stabilì che era l'ora di smettere, come se avesse già vinto, che era il momento di tornare alla stalla. E al Chiasso Largo, ancora una volta, per una decisione inespicabile si fermò, mentre l'urlo della folla saliva ancora più alto, incredulo, ammirato, delirante.
Selvaggia prese il primo posto senza alcuno sforzo apparente, ma aumentando di potenza proprio nell'ultima frazione della corsa. Bazza arrivò raggiante agitando il nerbo in segno di vittoria. I selvaioli si precipitarono sotto il Palco dei Giudici a ritirare il Palio conquistato. I brucaioli corsero via piangendo, imprecando, bestemmiando, tra turbe di contradaioli irate o rallegrate, tra canti di vittoria e di beffa.
La Selva aveva ottenuto una nuova vittoria. Il Bruco aveva perduto. Ma -attenti!- dicevano a se stessi, molti a freddo, quando la notte scese sulla città, quando in Vallepiatta si continuavano a suonare le campane, ad accedere lumi, a vuotare damigiane di vino: non è stata Selvaggia a dominare Arianna! E' stata la volontà magica della Piazza, che ha imposto al Bruco di voltare! Un pensiero collettivo, una corrente imperiosa di volontà che premevano e da cui Arianna non si poteva difendere.
"Volta! Volta!". E Arianna, sospinta da una forza maggiore, aveva voltato. Il Bruco, per un ordine sovrannaturale, era stato fermato da una mano invisibile.