Si trattava del Palio detto (con scelta alquanto infelice) «della pace» perché doveva festeggiare la tanto attesa fine della guerra mondiale, ma che invece nacque con la violenza (in seguito a una forzatura popolare nei confronti del sindaco e della giunta) e finì in maniera ancor più violenta.
Favorito d'obbligo era il Bruco che «doveva» vincere a tutti i costi. Si dice che a ogni fantino, indistintamente, fossero state offerte 50.000 lire suscitando anche le proteste di quelli più famosi. Pietrino, assatanato di quattrini come sempre, confrontandosi con Primo Cortigiani detto Ciambella, che di professione faceva lo spazzino, ai dirigenti del Bruco avrebbe detto: «Aoh, che me pagate quanto uno spazzino?» riuscendo ad ottenere una maggiorazione della cifra.
Si racconta che lo stesso mossiere avesse tutta l'intenzione di favorire la Contrada di via del Comune tanto che annullò la seconda partenza (con la Tartuca ancora una volta schizzata prima dai canapi) al secondo giro, partenza che fu dai più ritenuta valida come si può leggere dal rapporto dei deputati della festa «...la seconda mossa, che per unanime parere della giuria dei capitani si svolse regolare, fu incomprensibilmente annullata dal mossiere dando luogo a proteste ed a successivi incidenti che non sarebbero avvenuti senza questa inopportuna risoluzione».
Il mossiere Lorenzo Pini nel suo rapporto così si difese: «Il Bruco, mentre si svolgeva l'ingresso ai canapi delle altre Contrade, occupando il primo posto spinto dai cavalli vicini entrò con il posteriore nello spazio dove si trova il verricello e solo dopo vari tentativi ed essendo stato percosso da alcuni popolani riusciva a venirne fuori assumendo però una posizione completamente opposta alla linea di partenza senza avere il tempo di correggerla...»
A proposito della mossa c'è da segnalare un articolo del Nuovo Corriere dove il giorno susseguente il Palio si parlava appunto dell'operato di Pini: «...la seconda mossa era valida, ma mettetevi nei panni del mossiere che aveva visto fermo il Bruco ed era perfettamente a conoscenza delle possibili immancabili violenze che questo fatto avrebbe concentrato sul suo capo da parte dei contradaioli del Bruco».
Questo tanto per dare un'idea dell'aria che tirava! A quel punto, comunque, il barberesco della Tartuca portò via il proprio cavallo seguito da tutta la comparsa e da quelle delle alleate Onda e Oca che, pur non correndo, volevano dimostrare la loro solidarietà.
Qualche attimo prima Silvio Gigli, che nella sua lunghissima carriera di radiocronista riuscirà a descrivere anche le vittorie della Chiocciola senza far capire agli ascoltatori esterni (i senesi in queste cose non si possono ingannare) il suo dramma, aveva perso la calma e rifilato un paio di ceffoni al mossiere. La cosa deve essere stata abbastanza clamorosa se anche il Capitano della Chiocciola, Butini, andò a congratularsi con quello della Tartuca, Torquato Rugani. Forse la Tartuca non avrebbe avuto ugualmente possibilità di vittoria (Dedo Pianigiani mi raccontava che il cavallo, Elis, che aveva portato lui stesso a Siena da Civitavecchia, pur dotato di un buono spunto aveva nelle gambe al massimo 600 metri), comunque la Contrada di Castelsenio volle festeggiare ugualmente questa scelta dolorosa, ma altamente dignitosa e fu fatta nelle logge di S. Agostino una grande cena con centinaia di lampadine. Gigli, passato il momento di ira, il 28.8.1945 intitolava un suo articolo sulla «Nazione del Popolo»: «Ultimo guizzo di guerra: il Palio della Pace».
Nel Bruco, dicevamo, si era cercato di «accomodare» tutti i fantini presenti, ma non si era tranquilli perché si temeva il binomio Folco-Rubacuori che rappresentava i colori del Drago.
Con la Contrada di Camporegio erano stati fatti addirittura dei patti scritti nello studio dell'ing. Socini, anche se questo documento non è mai saltato fuori forse perché qualcuno l'ha fatto volontariamente sparire. Il patto prevedeva che il Drago avrebbe favorito in tutti i modi la vittoria del Bruco salvo che questo, trovandosi in prima posizione con il Drago secondo, lo avesse nerbato; il Drago, cioè, non avrebbe dovuto in alcun modo passare il Bruco. I patti dunque erano chiari, ma nel Bruco non ci si fidava di quel giovanissimo fantino, 19 anni come il cavallo, ormai più che un veterano della Piazza, che raccontava a tutti, specialmente alle ragazze con le quali amava pavoneggiarsi, che quel Palio lo avrebbe vinto lui anche se i dirigenti non volevano.
Già la sera del 20, il giorno prima il Palio era stato rinviato per la pioggia, al passaggio di Rubacuori che si recava in Piazza ci furono gravi minacce e insulti da parte dei brucaioli e occorse la scorta di 4 poliziotti per prevenire possibili incidenti e violenze. E che il pericolo fosse rappresentato da questo giovane studente spavaldo lo avevano capito anche tutti gli altri fantini.
Nel corso della prima mossa l'Istrice provò a gettare in terra il portacolori del Drago, ma Folco fece un guizzo e fu proprio Pietrino a rotolare sul tufo. Nell'entrone Pietrino sbraitò e minacciò Rubacuori (con il suo comportamento rischiava di far perdere a tutti i soldi promessi dal Bruco), e quando uscirono nuovamente dal cortile del Podestà passando davanti al palco delle comparse lo indicò ai monturati del Bruco dicendo: «Vince lui».
Lo stesso Ganascia, che correva nella Torre, secondo il rapporto del mossiere, redarguito per il suo comportamento nell'entrone aveva dichiarato di dover in ogni modo parare il Drago.
Partita la corsa quello che i brucaioli temevano si avverò realmente. Rubacuori, infatti, pur senza passare si «presentava» continuamente all'Arzilli, una volta di fuori, una volta di dentro fino a che questi, preoccupato dell'avversario, fu «costretto», come si vanta anche oggi Rubacuori, a nerbarlo annullando così i partiti fatti fra i dirigenti delle due Contrade.
E' il dramma; Folco, precisissimo come sempre e che in tre giri non sprecò un metro, ha la possibilità di dimostrare ancora una volta il suo valore. Il sogno del Bruco sta svanendo e a San Martino c'è l'ultimo tentativo disperato del barberesco del Bruco, Bruno Cortecci, il popolare Grolle, che entra in pista con la giacca aperta per cercare di fermare il Drago.
Ma le cose non andarono come Cortecci sperava; leggiamo dal rapporto di un maresciallo di pubblica sicurezza, tal Gino Rosi, che si trovava a San Martino: «...al terzo giro nei pressi della Fonte Gaia il cavallo del Drago precedeva di qualche metro quello del Bruco. Il barberesco di quest'ultima Contrada, il quale si trovava presso il Chiasso Largo fra carabinieri e altro personale di servizio, nonostante questi si portava in mezzo alla pista tentando con gesti delle mani di rallentare la marcia del cavallo il quale, però, riusciva a schivarlo e a proseguire la sua corsa. Egli stava ritornando al suo posto, ma in quel momento giungeva il cavallo del Bruco il quale evidentemente impauritosi usciva dalla pista entrando con velocità nel Chiasso Largo».
Cortecci, dunque, ottenne l'effetto contrario anche se in una successiva visita medica a Mughetto, cavallo del Bruco, fu riscontrata una distorsione dell'articolazione postero-coronale dell'arto destro che evidentemente provocava forti dolori al cavallo e che fu la causa prima del suo rifiuto a curvare.
A quel punto, come dice la relazione della giunta comunale: «...una turba di appartenenti alla nobile Contrada del Bruco, dei quali alcuni vestiti in costume, perché formanti parte della comparsa, e molti altri recanti al collo il fazzoletto con i colori del Bruco si raccolsero sotto il palco dei giudici proferendo grida e minacce allo scopo di impedire che il drappellone venisse consegnato alla Contrada vincitrice... riusciva a ghermirlo... e lo faceva cadere fra coloro che erano rimasti nella Piazza sottostante i quali, non tutti brucaioli, lo ridussero a brandelli».
Nonostante la notevole resistenza delle forze dell'ordine, si narra che lo stesso ing. Nozzoli, capitano del Drago, avesse fermato un carabiniere che aveva già inserito il colpo in canna al suo moschetto, saltando sul palco dei giudici dalla terrazza del bar Costarella i brucaioli riuscirono a impadronirsi del Palio ed a gettarlo di sotto.
Il custode comunale che lo aveva in consegna scrisse nel suo rapporto che colui che l'aveva materialmente afferrato «...portava pantaloni scuri, camicia bianca e fazzoletto del Bruco al collo, altezza metri 1,60-1,65». Il drappellone non toccò, stando alle testimonianze dei presenti, neppure terra e il piatto d'argento fu salvato soltanto dall'intervento di un vigile urbano.
Nel Bruco, poi, dalla custode furono ritirati da parte del Comune l'asta trasversale del drappellone e la lancia terminale mentre, sia pure danneggiati, furono in seguito recuperati il fiocco di seta bianco e nero in parte lacerato, il cordone con nappa, l'asta spezzata e, come detto, il piatto che ebbe bisogno, però, di sostanziose riparazioni.
Il drappellone, che Dino Rofi aveva soltanto iniziato a dipingere perché il Palio era stato deciso in tutta fretta, e che presentava soltanto gli stemmi delle Contrade partecipanti e una raffigurazione della pace appena abbozzata, fu lacerato in mille pezzi di cui soltanto uno attualmente è visibile esposto nel museo della contrada del Leocorno.
Rubacuori fu malmenato e, dopo essere stato portato in salvo nell'entrone, assediato per alcune ore dai brucaioli inferociti. Non ci furono per la verità violenze ai danni dei dragaioli, anche perché nessuno di loro si presentò a ritirare il drappo (e non ebbero torto!), ma anche loro subirono un assedio dentro la sede fino a mezzanotte, dopo che i brucaioli avevano tolto anche la bandiera della Contrada di Camporegio dalla trifora del Palazzo Comunale sostituendola con la loro.
La cosa si ricompose il 22 settembre quando in forma ufficiale il Comune consegnò al Drago il drappellone che il Bruco aveva fatto dipingere a sue spese, come deciso dalle competenti autorità.
Alcune curiosità a margine di questo tempestoso Palio. Tutti i provvedimenti presi dal Comune per ciò che era avvenuto furono condonati in data 24 aprile 1946. Tale provvedimento sollevò le proteste di alcune Contrade (ad esempio l'Oca e l'Onda) alle quali il Sindaco Bocci rispose che questo provvedimento era stato preso «per consentire il raggiungimento di una completa pacificazione degli animi in prossimità delle ricorrenze del Palio e al fine di non offrire nessun pretesto che potesse dar luogo a nuovi incidenti».
La Contrada del Bruco, in una prima lettera di discolpa inviata in data 28 agosto, al 4° punto delle sue giustificazioni così scriveva: «Gli atti di violenza, riprovevolissimi, puntano sul comportamento provocatorio del fantino della Contrada del Drago che, sebbene certa stampa senese e per nulla praticamente contradaiola lo abbia qualificato eroe senza macchia e senza paura, in realtà e in termini cavallereschi non è che un "baronetto marrano"».
Nel bozzetto originale del numero unico celebrativo della vittoria, figurava un drago che reggeva, in chiave ironica, un Palio strappato, in cima al quale stava un bruco attaccato con uno spillo di sicurezza. Fu poi pensato bene, proprio per motivi di... sicurezza, di togliere il bruchino e non stuzzicare più i grandi sconfìtti.
Molto interessante per terminare il racconto di questo movimentato episodio mi sembra ascoltare, a circa 40 anni di distanza, la versione e le considerazioni del brucaiolo che, impersonando tutto un popolo, fece l'atto materiale di gettare il Palio di sotto dal palco dei giudici.
Pasquale Meini così racconta l'episodio svelando una clamorosa novità: la colpa fu tutta di una... monaca! « Io so' sempre stato un po' turbolento, un po' vivace, ma quel Palio per accordi precedenti fatti anche con il Drago lo doveva vincere il Bruco. Invece, dopo che la Tartuca si era ritirata e che Gigli aveva schiaffeggiato il mossiere senza che nessuno gli dicesse niente perché era una persona nota, quello studente tirò a vincere. Il Bruco stette primo fino a San Martino e poi si slogò uno zoccolo, perché dicevano che s'era parato noi, ma un'era vero niente e vinse il Drago. Allora noi brucaioli ci si inviperì. Io ero in Piazza e davano il Palio al Drago, allora salii sulla terrazza del "bar degli ignoranti", come si chiamava a quei tempi, e da lì saltai su quella dei giudici. A guardia del cencio c'era un carabiniere con il moschetto, ma quando si rigirò dalla parte del Casato io staccai il Palio. Non volevo buttarlo di sotto, ma ero sopra il ferro della ringhiera in piedi e sotto c'era una suora a sedere che si alzò all'improvviso e mi dette una testata sul gomito. Il Palio mi fece fare una biciancola e se non lo lasciavo sarei caduto di sotto anche io, e fu così che cadde sulla folla e poi... si stette fino a mezzanotte a picchiarsi. Se me ne pento? No di certo! Lo rifarei anche ora a 63 anni suonati, perché so' sempre il brucaiolo di 40 anni fa».