Ad un anno esatto dalla liberazione della città, il tufo, pur tra mille difficoltà, torna in Piazza e per la Siena contradaiola la guerra è proprio un ricordo del passato. Ma quale tipo di «Palio» si ripresentava agli occhi del senese? Accanto alle problematiche inerenti il finanziamento, ci furono anche quelle più squisitamente tecniche, ma un'analisi a distanza di tempo è pressoché impossibile.
Di certo la componente tecnica dei «cavalli» deve aver giocato un ruolo importante: accanto al «reduce» Folco si trovano una notevole quantità di «debuttanti», non specificatamente e adeguatamente preparati per il tufo, ma sempre allenati essendo il cavallo ancora un mezzo di trasporto, non solo di merci.
Alla tratta sono 16 i soggetti presentati, con le famiglie dei cavallai tutte presenti, dai Margiacchi, ai Fontani, ai Busisi, per finire con i Pianigiani. L'altra componente del Palio-tecnico, quella dei fantini, avrebbe potuto far scrivere, oggi, fiumi d'inchiostro se fosse stata analizzata con la mentalità dei nostri giorni. Accanto ai super-veterani come Ganascia, il Funghi, Tripolino, Pietrino, una serie di «intraprendenti giovanotti» pronti a cercare e trovare sul tufo una gloria ed una sensazione del tutto nuova.
E gli accordi tra le Contrade, la diplomazia interna ed esterna di mangini e Capitani? Forse, in quel giugno 1945, quando la guerra nel mondo non era ancora finita e ad agosto sarebbe scoppiata la bomba atomica in Giappone, l'aspetto più importante del ritorno del tufo in Piazza era concentrato, da parte delle dirigenze, non tanto sulle strategie diplomatiche, quanto sul «gusto» di ritrovare intatta una festa che era propria. Non ci saranno più, è vero, i lampioni a disegnare le ombre in Piazza, ma per il resto era rimasto tutto incredibilmente uguale. Deve essere stata un'esperienza gustosa e reale riassaporare l'odore del tufo tornato sulle lastre ed allora doveva anche essere ovvio che una certa diplomazia contradaiola si cullasse al pensiero di aver visto tornare, come una fiaba, un paesaggio d'altri tempi.
Sette fantini ingaggiati dalle rispettive Contrade giungeranno al Palio senza alcuna «alternanza», e solo per tre le cronache registreranno il «cambio», con la Tartuca che, non soddisfatta di un «discendente» della famiglia Luschi (Mario) si affida ad un super-debuttante giunto dalle corse regolari: Parigi Colombini detto Pisano, che le cronache paliesche non sapranno immortalare neppure con una fotografia.
C'è poi la Pantera che già dalla seconda prova si affida ad uno studentello, Gino Calabrò, che nel mese successivo passerà non tanto alle cronache quotidiane, quanto alla leggenda vivente dell'attuale Palio. C'è, per finire, la Lupa che va a scovare a Pontignano uno sconosciuto «citto» di nome Lorenzo Provvedi, un ragazzino che andrà a sfidare i quotati e più anziani rivali.
E questi «rivali» rispondono a nomi storici del Palio: Ganascia che trova nel Leocorno una delle tante «Stella» del Palio degli anni '40 di proprietà di quel Menotti Busisi con il quale il fantino aveva iniziato un rapporto tecnico assai consistente in quei primi anni del «ritrovato» Palio; Tripoli, l'insaziabile fantino di fine anni '30, che riuscì a vincere 4 dei 5 Palii in programma. Con lui la Giraffa stringe facilmente, anche perché l'ultima ghiandina estratta dall'urna della tratta porta in Via delle Vergini quel Folco, imbattibile per tutti.
Ci sarà anche Pietrino, che non riesce a saggiare la forza di Monte Cucco, fermo per le prime tre prove e la provaccia per evidente zoppia, e presente solo in una prova.
Ci saranno anche il Funghi e l'Arzilli, rispettivamente con i giubbetti della Chiocciola e del Bruco. Con l'Arzilli debutta una grigia moschettata, Salomè, che il fantino ritroverà tre anni dopo in Fontebranda. Ma accanto a loro, oltre a Calabrò, Colombini e Provvedi, debutteranno anche altri due fantini: Ciambella nella «sua» Oca e Priamo Ducci nel Drago.
I cinque debuttanti avranno, nel futuro del Palio, vita abbastanza breve, ma due di loro riusciranno ad assaporare il trionfo in tutta la sua dinamica.
Le cinque prove (la prova generale non fu corsa a causa della pioggia) passano agli archivi con due immagini, una delle quali molto significativa con la Giraffa all'interno e la Lupa all'esterno che sta per portarsi in testa, nonostante la «precaria» posizione di Renzino.
Poi il giorno del Palio con l'enorme massa di gente in pista al Casato; la mossa annullata con Pietrino che cade al canape, e quella valida con la Giraffa al nono posto e la Lupa di rincorsa. E saranno proprio queste due Contrade a disputarsi il Palio; con il vecchio ed esperto Tripolino in testa e con il «debuttante» Renzino a tallonarlo fino all'ultimo S. Martino, allorché la Lupa riuscì ad infilare la Giraffa ed andare a vincere il Palio della liberazione. Un risultato finale imprevedibile, alla vigilia, che riportava tutti nella realtà del Palio, dove non esistono mai le vittorie facili.
Per «ringraziare», la Lupa invade la Certosa di Pontignano, «patria» di Renzino. Sulla ripida strada di Vallerozzi la «grande» festa e il disegno di bandiere da collezione ormai perdute.