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VIRGILIO GRASSI (Siena 18/06/1861 - 04/10/1950)

elenco personaggi

Tratto da "Uomini e Contrade di Siena".

Virgilio Grassi

di Paolo Leoncini

Virgilio Grassi nasce il 18 giugno 1861 nella parrocchia di S.Martino. La prima pubblicazione che testimonia il suo interesse per la storia e l'arte di Siena risale al 1924, ed è una guida del Duomo di Siena dal titolo "Guida storico-artistica del Duomo di Siena e sue adiacenze". In quello stesso anno scrive "Ricordi storici e artistici della Compagnia laicale di S.Antonio Abate in Siena oggi Arciconfraternita della Misericordia" ancor oggi prezioso studio oltre che suo tributo all'ente cui dedicò gran parte della propria vita.

Nel 1929 inizia a pubblicare la serie di dispense che, una volta riunite, costituiranno la sua più importante opera: "Le Contrade di Siena e le loro feste: il Palio attuale" la cui quinta e ultima ristampa è del 1987.

Di straordinario valore risulta il lavoro "I confini delle Contrade secondo il Bando di Violante Beatrice di Baviera", promosso dal Comitato Amici del Palio nel 1950, pochi mesi prima della scomparsa del Grassi. E' infine incalcolabile il numero dei suoi articoli apparsi su quotidiani senesi. Una piccola selezione è raccolta in "V.Grassi, Palio ed altro" per "Il Telegrafo".

Terminato il Regio Liceo, si iscrive alla facoltà di Medicina dell'ateneo senese. Nel 1883 ottiene il diploma di primo grado e due anni dopo la laurea con il punteggio di 105/120 (archivio dell'Università di Siena, cat. XII, Facoltà di Medicina e Chirurgia. Esami di laurea, b. 4, ad annum). Nel 1887 ottiene quindi il posto di medico aggiunto presso il manicomio di Siena, lavoro che lo impegnerà per quasi mezzo secolo. Accanto all'attività quotidiana di medico, Grassi non tralasciò le pubblicazioni scientifiche, oggi consultabili nella Biblioteca Comunale di Siena: si tratta, per lo più, di indagini statistiche sull'attività del Manicomio e di studi dedicati al fenomeno dell'alcolismo.

Giuseppe Grassi, suo nonno, legnaiolo, sposò all'inizio dell'Ottocento Marianna, tessitrice di trecciuoli che viveva nel Bruco, lungo la costa del Comune. I due si sistemarono nel popolo di S. Donato in S. Michele; i figli nacquero dunque dragaioli e il primo in particolare, Alessandro Grassi, seguì le vicende della Contrada in modo attivo. Mentre due dei figli seguirono le orme paterne lavorando come falegnami, il terzo, di nome Ranieri, rimase in casa assieme alla madre con non pochi problemi fisici, soprattutto agli occhi, lavorando come rilegatore.

Alla soglia dei quarant'anni, quando i fratelli erano già divenuti nonni, Ranieri si sposò con Giuseppa Nannini, ragazza poco più che ventenne da poco arrivata con la famiglia da Volterra. Il primo figlio, Augusto, nacque anch'esso nel territorio della Contrada del Drago, e della Contrada si curò con assiduità fino a divenirne Priore.

Subito dopo la nascita di Augusto arrivò finalmente per Ranieri un lavoro apprezzabile, quello di servo alla Misericordia. La lamiglia si sistemò dunque dalle parti di S. Martino, dove nacque Virgilio, in pieno Leocorno. Il ventenne Virgilio (la cui famiglia era nella totalità dragaiola) stava un po' nel Leocorno, un po' nel Drago; la sua prima carica ufficiale risale al 1881, anno in cui risulta cancelliere del Drago.

In questa veste rappresentò il seggio all'estrazione delle Contrade in palazzo comunale. Nell'archivio della Contrada del Drago numerosi sono i segni del passaggio di Grassi sino al 1885; quindi viene l'improvvisa scomparsa. Virgilio Grassi rimarrà comunque per tutta la vita protettore del Drago, legato al fratello, ai nipoti (in particolare a Cesare, noto per aver gestito l'importante negozio fotografico cittadino) e al suocero, Cesare Nencini, più volte capitano del Drago e per otto lustri influentissimo cancelliere della Misericoridia.

La prima traccia di Virgilio Grassi nella Contrada del Leocorno è del 1878, quando, nell'assemblea del 20 settembre 1878, viene incaricato di raccogliere fondi per il rifacimento dei costumi; successivamente egli lavora in vari settori come consigliere del seggio fino al 1887, anno in cui scompare dai documenti ufficiali. Il rientro avviene nel 1893, in contemporanea con la nomina a Priore del conte Giuseppe Placidi, e precede di poco la nomina a Vicario nel 1896.

Note generali

Virgilio Grassi è figura nota nella storia del palio, ma il personaggio è certamente più complesso e interessante di quanto molti di noi immaginino. È ben conosciuto come studioso della storia di Siena e del Palio, e anche come Priore del Leocorno, instancabile grande dirigente di una piccola Contrada; soprattutto per questi due aspetti il ricordo di Virgilio Grassi resta significativo ad oltre mezzo secolo dalla scomparsa. Non a caso dunque dal 1974 proprio a Virgilio Grassi è intitolata la piazzetta che è nel cuore della Contrada del Leocorno.

Al di fuori dell'attività intorno al Palio e alla Contrada, restano da ricordare altri aspetti della sua biografia: Grassi nasce da un servo della Misericordia, in una casa della Misericordia, serve tutta la vita quella Confraternita, come volontario e come medico. È inoltre medico all'ospedale psichiatrico S. Niccolò, dove per quarantotto anni lavora sulla malattia mentale.

Tanti e tanto diversi ruoli, tutti vissuti intensamente perché tutti animati dall'amore per la città: non a caso Arrigo Pecchioli, quando Grassi morì ormai alle soglie dei novant'anni, scrisse che con lui Siena perdeva l'autentico vero cittadino del Palio. Credo che questa originale definizione sia quella che più rende giustizia non solo al valore del personaggio ma anche alla sua unicità. Sarebbe insomma molto riduttivo ricordare Virgilio Grassi come Priore di una Contrada: corretto è invece ricordarlo come uomo che si 'serviva' in maniera del tutto naturale del priorato per essere al servizio della città.

Virgilio Grassi nasce come unico lecaiolo in una famiglia di dragaioli. Un contradaiolo 'strano', che fino a venticinque anni vive un po' da una parte, un po' dall'altra: cancelliere nel Drago e allo stesso tempo consigliere rispettato nel Leocorno fin quando, per motivi che non conosciamo, sceglie (giustamente, visto che lì era nato) di diventare contradaiolo del Leocorno a tempo pieno.

Vicario dal 1896, in realtà facente funzione di Priore, quindi Priore dal 1912 fino al 1946. Dirigente di Contrada, come si dice oggi, per 50 anni, parte dei quali spesi attivamente anche all'interno del Magistrato delle Contrade come segretario.

Il Priorato

Le idee e il temperamento di Grassi Priore emergono da alcuni episodi scelti tra i molti che lo hanno visto protagonista nella prima metà del XX secolo.

Nel 1903 il Leocorno è Contrada piccola e povera, al punto che partecipare al Palio appare spesso più un obbligo che un piacere; la componente popolare della Contrada è del resto sempre stata scarsa e la normale amministrazione è dunque nelle mani di un piccolo nucleo di contradaioli. Essi fanno riferimento alla nobile famiglia Placidi, e in particolare al conte Giuseppe, Priore, che dal palazzo alle Logge del Papa è solito far giungere alla Contrada segnali di generosità.

Il conte si fida completamente del Vicario Grassi. Quell'anno, il seggio, costretto di anno in anno ad inventarsi qualcosa pur di andare in Piazza, decide di farsi rappresentare da Lorenzo Franci, in gioventù Pirrino, noto fantino. Franci aveva tutte le caratteristiche di incompatibilità con il ruolo di Capitano di una Contrada (della quale oltretutto non faceva parte) e il Comune decise di respingere la proposta del seggio del Leocorno.

La risposta del Grassi fu che le motivazioni addotte dal Comune non erano accettabili. Davvero, sostenne Grassi, il Franci era negoziante e proprietario di cavalli, ma in passato egli aveva ricoperto in altra Contrada lo stesso ruolo, e nessuno aveva trovato da eccepire. Dunque,

[... ] in mancanza di altre più valide ragioni e ritenendo che nessun'altra ve ne sia, il Leocorno riconferma la delega. In caso di ulteriore rifiuto, si riserva di appellarsi all'autorità Governativa ed anche ad astenersi in segno di protesta dall'imminente corsa, salvo poi al Sig. Franci di prendere quelle decisioni che ritenesse opportune per salvaguardare il suo decoro.

Cosa accadde in seguito non è chiaro: formalmente Franci non figurò mai anche se per almeno sei anni curò ufficiosamente il Palio, e con qualche risultato vista la vittoria nel 1904.

Ma questo è solo il primo dei casi in cui Grassi si trovò in conflitto con l'autorità comunale.

Nel 1911 questa, nel tentativo di difendersi dalle continue richieste di corse straordinarie accompagnate da petizioni popolari, preparò una modifica ai regolamenti, riservando a sé soltanto la facoltà di proposta. Un'iniziativa che un po' tutti i Priori giudicarono positiva, ma che presentava un punto critico: se la Giunta avesse deciso per il sì, si doveva correre il Palio comunque, obbligando anche le Contrade che non volessero parteciparvi. Di fronte a questa eventualità Grassi apparve tra i più decisi nel ricordare l'autonomia delle Contrade, e della sua in particolare, che di corse straordinarie non ne voleva sapere e che nessun Sindaco avrebbe mai potuto costringere a cambiare idea.

Nel 1913, ecco una nuova richiesta di Palio straordinario, questa volta da parte dell'influente Società dei Commercianti. Mentre gli altri Priori discutevano del come e quando effettuare la corsa, Grassi invitò a non prendere decisioni "dal punto di vista bottegaio ma da quello morale". Se proprio si volevano trattenere i forestieri a Siena, che si rinviasse il Palio di sabato 16 agosto alla domenica. E questo era il massimo che si potesse e dovesse fare. Aggiungendo:

[... ] il magnifico spettacolo del Palio va riguardato dal lato morale e non essenzialmente per il vantaggio economico che può arrecare alla città

[...] se di Palii faremo spreco, ed anche se nel momento la città ne trarrà beneficio, tale beneficio sarà di assai ridotto negli anni avvenire.

La discussione si concluse con l'ennesimo scontro: "avete interpellato i rappresentanti delle Contrade, che sono quelli che fanno la festa, solo per ultimi", disse Grassi. Ma "la festa la fa il Comune", replicò l'assessore delegato dal sindaco.

Negli anni a venire, i toni del Grassi verso l'amministrazione comunale si fecero meno aspri, ma mai al punto di tacere quando le cose proprio non gli andavano a genio. Nel 1927 il podestà Fabio Bargagli Petrucci, peraltro in ottimi rapporti con Grassi, propose alcune modifiche al regolamento del Palio con l'obiettivo di mettere ordine nei comportamenti dei fantini: in sostanza, si trattava di istituire una matricola permanente cui potessero essere iscritti solo fantini che dessero "affidamento di perizia", dicitura vaga, per niente tranquillizzante dal punto di vista contradaiolo.

Quando il Podestà cercò il sostegno dei Priori, Grassi fu il più deciso e duro nell'esprimere pesante scetticismo sull'effettiva utilità delle modifiche (in accordo con altri due 'storici' personaggi, Alberto Comucci e Ettore Fontani) e soprattutto ammonì a non toccare le regole del Palio, sostenendo che alla festa "sono da apportarsi le minori possibili innovazioni".

Non meno esplicito fu nel 1929, quando il Podestà, comprensibilmente imbarazzato, sottopose ai Priori la richiesta avanzata dal partito fascista senese di effettuare un Palio straordinario. In una discussione che andava per le lunghe, Grassi intervenne senza peli sulla lingua: "ma l'on. Podestà ci ha convocati per sapere se noi si corre o no il Palio che il Comune avrebbe in animo di effettuare?". L'intervento pose di fatto fine alla discussione, costringendo il Podestà ad assumersi in prima persona la responsabilità di una scomoda risposta negativa allo scomodo interlocutore.

Palio e Palii

Negli anni Venti tutti in città riconoscevano a Grassi un ruolo di primo piano nella difesa della dignità della Festa: nel 1923 infatti, mentre in tutta Italia riemergevano con il sostegno del regime rievocazioni storiche che abusavano del nome "Palio", Grassi venne incaricato dal Comune e dal Magistrato delle Contrade di recarsi a Roma per assistervi al palio e farne un'esauriente relazione.

Al ritorno, Grassi invitò a non preoccuparsi di quella o di altre sagre "perché non si riesumano cose morte da tempo, che il popolo ormai più non comprende [...] bene invece può continuare a vivere il Palio di Siena". Non c'era insomma da preoccuparsi, secondo Grassi, del fiorire di manifestazioni che si rifacevano al Palio, perché si sarebbero esaurite da sole; occorreva semmai lavorare affinchè nel futuro la parola "Palio" individuasse unicamente quello di Siena,

[... ] non per gretto campanilismo non più compatibile con i tempi nostri, ma per amore di ciò che forma il patrimonio morale di Siena [...] ogni città ha le sue peculiarità, il suo carattere la sua storia ed anche la sua dignità propria: difendere e mantenere queste speciali prerogative è per tutti un diritto ed anche un dovere.

Questo era per Grassi impegno primario, e non a caso considerava il Palio dell'aprile 1860, corso alla presenza di Vittorio Emanuele II, una tappa fondamentale nella storia della Festa. Prima di allora, sosteneva Grassi, l'anima del popolo vibrava di fremiti patriottici che andavano con nobile e generoso ideale oltre le competizioni contradaiole, ma al momento della gara essa si ripiegava nella sua dimensione cittadina.

Con il 1860, invece, il Palio divenne festa nazionale, la presenza dei Savoia ne ufficializzò il carattere di festa italiana e le visite dei sovrani sabaudi, che da allora si sarebbero succedute con regolarità, confermavano questo salto di qualità.

Quando nel 1935 Mussolini mandò a dire che il termine Palio avrebbe inequivocabilmente indicato la festa senese, Grassi (che aveva già speso parole di riguardo per lo stesso Mussolini, riconoscendogli di aver ridato tranquillità all'Italia, sostenendo anche che l'adesione delle Contrade alle direttive fasciste era stata spontanea) vide finalmente raggiunto un importante obiettivo: "Il Duce, imparziale valutatore delle glorie della città nostra e che pur non avendo mai assistito al Palio lo conosce per fama e sa di quanto spirito fascista si alimenti la vita delle nostre Contrade, riconobbe con esatto intuito la fondatezza delle considerazioni".

La difesa della dignità della Festa rappresentò negli anni una costante preoccupazione per Grassi. Innumerevoli sono da questo punto di vista gli interventi 'interni' alla sua piccola Contrada, ed è forse più semplice citare le numerose proposte effettuate nelle occasioni ufficiali in Comune, tutte destinate a lasciare una traccia nel cerimoniale del Palio dei nostri giorni. Ad esempio nel 1923 propose che il Palio venisse accompagnato dai valletti la sera della prova generale, nell'intento di ridare allo spettacolo, anche nei dettagli, l'antico splendore.

Nel 1927 propose che in occasione del sorteggio delle Contrade fossero esposte alle finestre del palazzo Pubblico le bandiere delle sette contrade ammesse di diritto, e che le bandiere delle tre estratte andassero poi a completare il quadro.

Nel 1934, sempre in seguito a sua proposta, venne stabilito che i barbareschi, all'atto del ritiro del cavallo, non portassero la sola coccarda ma indossassero il costume. Nel 1936, ricordando che già l'anno precedente era stato chiesto di effettuare le operazioni dell'assegnazione dei cavalli all'esterno del palazzo civico, ribadì la necessità di una tale innovazione per dare sempre maggior prestigio e attrattiva alla Festa.

Diversi momenti fondamentali del Palio, dalla bandiera che appare alla finestra del Palazzo alla corsa verso il cavallo avuto in sorte, ci appaiono oggi come un qualcosa di naturale che ci arriva direttamente da usi secolari; in realtà alcuni di questi attimi sono stati immaginati da un uomo ormai non più giovanissimo, attaccatissimo alla storia e alle tradizioni, di certo non un 'innovatore'. Nella cultura di quest'uomo è la spiegazione di come sue idee siano divenute tasselli e parte integrante dell'ingranaggio e del funzionamento della Festa.

La corsa, e alcuni 'fatterelli'

Un non più giovane contradaiolo del Leocorno, la cui famiglia era in ottimi rapporti con Grassi, racconta ancora oggi un episodio del 1920. Il Leocorno aveva vinto il Palio dell'anno precedente e, come sempre (era successo nel 1904, altrettanto nel 1954, oggi non più fortunatamente!) la Contrada era entrata in fase di recupero delle spese. Il fantino di quel Palio, Arturo Bocci detto Rancani, da Monteroni, quel Palio lo volle vincere ad ogni costo. Tornato in Contrada, fu così apostrofato da Grassi: "Disgraziato, che mi hai fatto!"

A Grassi stava molto a cuore la situazione finanziaria della Contrada e non era tipo propenso a pazze spese. Sugli aspetti economici del Palio aveva comunque le idee chiare:

[...] varie volte a Palio vinto le Contrade hanno fatto le debite riflessioni sull'esagerato costo della vittoria e hanno prese determinazioni per limitarlo. Ma poiché - Bando senese non dura un mese - al momento climaterico ogni buona concordata deliberazione è andata in fumo.

Grassi si interessò di Palio sempre, spesso di nascosto, cercando grazie alla sua amicizia con personaggi importanti, soprattutto il comandante della polizia urbana colonnello Pellegrini, di influire sulla corsa. Ci sono tracce di almeno due interventi. Nel 1927, al Palio d'agosto, il fantino dell'Istrice venne squalificato per una presunta nerbata al cavallo del Nicchio, data - si diceva - nell'intento di aiutarlo ad uscire primo dai canapi e quindi a vincere. Pellegrini, che in un primo momento aveva sostenuto di non poter proporre "una pena anche lieve giacché non vi è prova certa della mancanza", dopo un paio di giorni scrisse un rapporto in cui riportò la versione dei fatti così come appresa da Grassi, e chiese la squalifica del fantino. Il diretto interessato, Arturo Bocci detto Rancani, contestò "dolente e meravigliato di sentirsi attribuire una colpa che sa di non aver commessa", avendo solo fatto spazio al Nicchio. L'addebito, aggiunse, "non può attribuirsi che a malanimo di persona astiosa o a risentimenti contradaioli". Pellegrini, nel ribadire la sua posizione, sostenne di non dovere "mettere in dubbio quanto fu riferito dal dottor Grassi".

Nel 1929, alla vigilia del Palio d'agosto, Grassi scrisse a Pellegrini in merito al futuro mossiere. Essi avevano evidentemente un candidato, il noto Ricci, e si erano accordati per farne emergere il nome durante la riunione dei capitani. "Mi sono premurato - scrive Grassi sottolineando i passaggi più interessanti - di raccogliere informazioni sul Ricci come se fosse venuta personalmente a me l'idea di proporlo... ma ne sono stato sconsigliato". Ricci aveva infatti presentato dei cavalli "arzigogolando come proprietario dei raggiri con le Contrade", poi "è fervente nicchiaiolo", dunque amico dell'Oca ma nemico di Torre, Bruco e Onda. Grassi scrisse poi di aver parlato con alcuni Capitani, mostrando la proposta come "propria personale iniziativa, senza neppure lontanamente accennare alla sua raccomandazione" ed infine aggiunse di aver appena trovato il Baggiani, segretario generale, che gli aveva prospettato un altro nome. "Che gliene pare?... me ne dica la sua opinione... Tanto tra noi due c'intendiamo sempre". Due episodi che oggi apparirebbero quanto meno 'scandalosi', e che testimoniano di come personaggi in vista, che si stimavano reciprocamente, avessero il loro modo di 'preparare' e gestire il Palio.

Risale a quegli anni un fatterello che ci permette di parlare della statura di Grassi, inferiore al metro e mezzo: una situazione che certamente gli pesò molto, e che fu certamente oggetto di battute di spirito, anche se mai apertamente e pubblicamente visto il rispetto che il personaggio incuteva. Solo una volta la canzonatura fu pubblica. Nel 'numero unico' pubblicato dalla Tartuca in occasione della vittoria del Palio nel 1933 venne riportato un dialogo tra lecaioli, il dottore Priore e il colonnello Vicario (Castellucci), al momento della vestizione della comparsa in S. Giorgio.

Col. Vicario (come una furia verso il Dott. Priore): Come si fa? Come si fa? Santi aveva promesso di vestirsi da Duce e poi all'ultimo momento manda a dire che non può. Sacro Iddio!

Dott. Priore: Mi vesto io! (ilarità)

Si abbassa... il canapo.

Per questi accenni alla statura del proprio Priore, l'assemblea del Leocorno decise di scrivere una lettera di protesta alla Tartuca.

A parlare ancora della statura è più recentemente Giulio Pepi. Nel secondo dopoguerra, quando Grassi si muoveva ormai raramente di casa, Giulio Pepi e Arrigo Pecchioli andarono a conoscerlo. In quell'occasione Grassi parlò appunto della sua statura: "non dovete meravigliarvi se sono di piccola statura, ma debbo a questo metro e 55 se mi onoro dell'amicizia del Re" (in realtà il Grassi era alto m. 1,48: sulla statura egli era anche un po' bugiardo!). E poi ricordò gli incontri con il Re: "scendeva dall'ascensore, si infilava un paio di pantofole e mi chiedeva subito: caro Grassi, come va? E la sua famiglia? Ora mi aggiorni subito sulla situazione. Corre il Meloni, c'è Ganascia? Chi ha il cavallo migliore?... e via di questo passo con quelle domande a tradimento che qualche volta mi facevano sformare. Come quando mi chiese quanti erano i componenti del corteo. Mi toccò rispondere: Maestà ora li conto e dopo glielo dico".

Il Re... per molti anni era circolata in città la storia che Vittorio Emanuele III non fosse figlio di Umberto e Margherita; una vicenda che avrebbe visto coinvolta una nobildonna residente al Pavone, e una neonata sostituita con un neonato. Insomma, la somiglianzà tra il Re e Grassi, unita ai frequenti viaggi della Regina a Siena, ha per molti anni alimentato una leggenda che non ha mai trovato conferma e che fuori città non è neppure tanto conosciuta.

Verso la fine della storia.

In quegli stessi anni, la Contrada del Leocorno decise di nominarlo Priore benemerito, un modo 'dolce' di accantonarlo. Grassi lo apprese dai giornali e scrisse alla Contrada: "è stato fatto benissimo perché a me ormai, per la condizione fisica in cui sono ridotto, non era più possibile continuare". Si preoccupò solo che la decisione fosse ufficializzata in tempi brevi al Magistrato delle Contrade, di cui continuava a considerarsi cancelliere.

L'ultimo segno lasciato da Grassi nella vita di Contrada risale al 1947. Il Leocorno perse un brutto Palio, vinto dalla Torre, e se ne attribuì la colpa al fantino chiaramente 'venduto'. Alla sera, durante la radiocronaca di Silvio Gigli, più volte la Contrada venne accusata di essersi lasciata comprare, e un gruppo di lecaioli andò alla ricerca di Gigli. Dopo animata discussione, qualcuno gli dette un paio di cazzotti. In merito a questo incidente, Grassi scrisse qualche giorno dopo una

lettera alla Contrada:

[... ] l'offesa fatta da Gigli nella volgarissima radiocronaca è plateale e stupida [... ] sono più che convinto che la Contrada non si sia affatto venduta e nella peggiore delle ipotesi posso tutt'al più ammettere che qualche segreta intesa sia passata tra i fantini, rimasta occulta ai nostri dirigenti l'onestà dei quali è superiore ad ogni dubbio. In sostanza dunque è da ritenere che il cavallo del Leocorno fosse inferiore a quello della Torre e che soltanto per tale ragione esso rimase al secondo posto. Ad ogni modo nulla autorizzava il Gigli, nella sua incosciente prosa, a lanciare pubblicamente l'accusa [... ] mi dicono che la sera stessa alcuni dei nostri più affezionati e vivaci contradaioli presero il Gigli a cazzotti. Se è vero fecero bene [...] ma soprattutto siccome pubblica è stata l'offesa, la nostra Contrada dovrebbe a mio parere pretendere una pubblica riparazione.

Giusto prima della sua morte, il Leocorno vinse il Palio dopo ventuno anni di 'digiuno', il 2 luglio del 1950. I contradaioli gli portarono il drappellone proprio sotto casa, in S. Girolamo all'angolo con Salicotto, servendosi di un camioncino perché Grassi, immobilizzato a letto, potesse intravederlo dalla finestra.

Il 4 ottobre 1950 Grassi morirà, lasciando (altra tangibile testimonianza del, suo amore per la città) una piccola montagna di carte autografe, scritte con invidiabile chiarezza: queste carte sono conservate oggi nell'archivio della Contrada del Leocorno e restano a tenere vivo il ricordo di un cittadino senese davvero straordinario. Il fondo contiene articoli a stampa, appunti, scritti preparatori, il manoscritto dell'opera "Le Contrade di Siena e le loro feste", la stesura preparatoria de "I confini delle Contrade".

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