Tratto dal libro "La storia di Siena" di Giuseppe Bortone
Figlio di Giovanni delle Bande Nere, nel 1537 divenne Duca di Firenze. Nel 1569 fu nominato Granduca di Toscana.
Cosimo poteva, oramai, ben dirsi soddisfatto dell'opera sua: aveva fondato un nuovo Stato, sotto il dominio della sua famiglia, erano state coronate da successo le mire su Siena; quelle mire per la cui realizzazione non s'era arrestato di fronte a spese, a delitti, ad umiliazioni... -
In fondo, risale a lui la responsabilità di gran parte delle scelleratezze commesse dall'esercito del Marignano; egli aveva affidato a Buratto da Fanano l'incarico di uccidere in Montalcino Piero Strozzi: poteva, dunque, a ragione scrivere al Vasari - il quale, apprestandosi a celebrare in grandiosi affreschi le imprese militari contro Siena, voleva dipingere il duca in mezzo a' suoi consiglieri intenti a suggerirgli le operazioni più opportune -: «La corona et assistenza di quei consiglieri che volete metterci atorno nella deliberatione della guerra di Siena, non è necessaria, perché noi soli fummo...».
«Egli - ha scritto uno storico moderno dell' età dei principati - poté a poco a poco affermarsi, proscrivere i suoi irreducibili avversari, attirare a sè gli altri, trasformando un potere fondato sull'influenza personale in un potere d'autorità, e l'instabilità fiorentina in stabilità. Come a Roma sotto Ottaviano, così a Firenze sotto Cosimo la repubblica cessò di esistere; ma tanto l'uno quanto l'altro dittatore mostrarono di rispettare le forme»; in realtà Cosimo affidò le varie magistrature soltanto a uomini che, per viltà o per calcolo, gli si mostravano devoti. La nuova Balìa di venti cittadini, creata a Siena dopo la resa, ebbe appunto il tacito mandato di distruggere a mano a mano, con tutti i mezzi apparentemente legali, gli elementi di opposizione o comunque pericolosi.
E perché fosse generale la convinzione della stabilità del nuovo ordine di cose, e del potere militare di Firenze e della sua casa, egli riprese il disegno di Carlo V, e, nel 1561, fece ricostruire sulla collina di S. Prospero la fortezza edificata tredici anni prima dagli Spagnuoli e distrutta dai Senesi. Rimanevano ancora de' testimoni muti, ma imponenti, dell'antica libertà: le torri; e Cosimo dispose che le più alte fossero mozzate, e molte abbattute del tutto.
Però, con questi provvedimenti - intesi, come s'è detto, a consolidare la recente conquista - ve ne furono anche altri intesi a promuovere e a incoraggiare l'agricoltura, le industrie e a favorire il benessere delle popolazioni. Già, nel 1560, aveva vietato l'esportazione della seta fuori del territorio dello Stato, «desiderando che nelle città di Fiorenza e di Siena si lavori e si augumentipiù che si può, e si conservino i lavoranti che con tale esercitio si nutriscono».
Nel novembre del 1559, era stata pubblicata una legge severissima contro coloro che avessero osato per l'avvenire dissodare terreni boschivi, considerato «quanto sia dannoso che nell' Alpi e luoghi montuosi si taglino li arbori e si spogli la sommità de' monti di quel vestimento che la natura gli ha dato, e per essersi da quel tempo in qua adebbiati, arroncati e lavorati, le piogge non trovando ritegno hanno dilavato e devastato le terre».
A integrare questo provvedimento, furono spese molte cure e molti denari, specialmente per ripopolare le campagne e per creare le condizioni necessarie all' allevamento del bestiame nella Maremma e nel territorio senese, il quale, nel 1571, non contava più di 120.000 abitanti.
Ma, nonostante questi provvedimenti e le frequenti ispezioni che il duca personalmente faceva a' luoghi malsani e spopolati per rendersi esatto conto delle reali condizioni e de' bisogni dell' ambiente, l'agricoltura e le industrie non fecero che assai lenti e scarsi progressi, mentre le popolazioni erano dissanguate dal sistema tributario gravosissimo e minacciate dalle persecuzioni politiche.
Nel 1564, a soli quarantaquattro anni, Cosimo volle abbandonare nelle mani del figlio Francesco, educato alla Corte di Spagna, le redini dello Stato. Quell'anno stesso, il papa Pio IV avrebbe voluto dargli il titolo di Re, ma vi si opposero energicamente quasi tutte le Corti d'Europa. Nel 1569, lo nominò Granduca Pio V e, il 5 di marzo del 1570, con straordinaria solennità, lo incoronò in Roma. Così venivano ufficialmente riconosciuti i diritti dinastici dei Medici sullo Stato toscano.
Il Granduca Cosimo I morì il 21 d'aprile del 1574, dopo aver assistito a molte e gravi tragedie familiari.
Il suo programma era stato completamente attuato: discendente d'una famiglia di mercanti aveva conquistato un trono e aveva avuto poteri ed onori principeschi: avrebbero saputo i suoi eredi conservare l'edifizio da lui con tanta fatica e con tanto amore innalzato?
Purtroppo la decadenza cominciò, si può dire, il giorno stesso della sua morte.
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