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BINDO BONICHI (Siena 1260 circa - Siena 1338)

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Tratto da "www.treccani.it"

Bonichi, Bindo. - Rimatore (Siena 1260 circa - Siena 1338), di cui restano 20 canzoni e una trentina di sonetti, quasi tutti moraleggianti, in forma ora satirica, ora filosofeggiante. Nel 1309 e nel 1318 fu dei Nove, supremi reggitori del Comune.

Non si conosce con esattezza l'anno di nascita di questo rimatore senese, né sono molti i documenti che testimoniano gli avvenimenti della sua vita. Nel Libro di Biccherna dell'anno 1285 una nota informa di un pagamento effettuato dal Comune di Siena a Vanni e a Bindo Bonichi di San Pietro a Uvile di Sotto, e si tratta con ogni probabilità, come argomenta il Sanesi, del poeta e di suo fratello Giovanni. Se dunque nel 1285 il Bonichi poteva essere il destinatario di un pagamento, si può supporre che fosse nato attorno al 1260, come afferma, senza peraltro addurne prove, il Borgognoni.

Il 27 agosto 1299 il Bonichi comprò da un notaio Gualterotto del fu Mamolo un podere "in contrata Sancte Regine prope Senas"; a quella data il padre, Bonico, era già morto. Il 3 settembre successivo egli stipulava un contratto dotale per quattrocento libbre senesi a favore di Giovanna di Arrigo di Bartolomeo Saracini, sua "futura uxor"; non sappiamo con certezza se realmente il matrimonio fu celebrato, ma non abbiamo ragioni o prove per dubitarne. E probabilmente figlio del poeta è l'Antonio di Bindo Bonichi, eletto nel 1350 tra gli "Ufiziali a chiamare i sindaci delle contrade di Siena".

Ben presto il Bonichi comincia a partecipare attivamente alla vita amministrativa della sua città. Il 15 marzo del 1305 è ufficiale del Comune "ad mittendum nuntia et licteras... pro habendis novis". Due anni dopo, contemporaneamente alla carica di consigliere della Campana, è nominato console della Mercanzia con Lando di Manno Boncompagni (6 nov. 1307): il che mostra ch'egli esercitava l'attività di mercante.

Nell'ottobre del 1309 entrò a far parte dei "Nove Governatori e difenditori del comune et del popolo di Siena": carica questa quant'altre mai importante, cui erano generalmente chiamati i più esperti e più abili cittadini. È possibile che questo mandato gli venisse rinnovato per qualche bimestre negli anni seguenti, ma le lacune negli elenchi dei Nove non ci permettono di accertarlo. Il 25luglio 1318, comunque, venne nuovamente elevato a tale carica, e il mandato gli fu rinnovato il 17 ottobre per il bimestre successivo.

Dopo questa data il suo nome compare raramente nei registri cittadini. Il 22 maggio 1321 riceveva un pagamento di 20 libbre per aver fatto costruire, non sappiamo se con autorità di edile, un pozzo in contrada San Pellegrino. L'anno seguente, il 18 settembre, come operaio dell'Opera di S. Maria Maggiore, acquista una casa posta "prope sive iuxta et retro dictam ecclesiam maiorem". Nel 1327 è frate oblato della casa di S. Maria della Misericordia: e di questa confraternita, istituita per la protezione degli infermi e degli orfani, con altri quattro confratelli scelti dal rettore Bolgarino di Simone, compila gli statuti.

Degli ultimi dieci anni della sua vita non abbiamo alcuna notizia. Morì il 1° o il 2 gennaio 1338; il 3 veniva sepolto nella chiesa di S. Domenico.

La produzione poetica del Bonichi comprende, nell'edizione a cura del Bilancioni, venti canzoni e una trentina di sonetti (più non pochi attribuiti o attribuibili; il Mingarelli, sulla scorta di una nota del cod. Laurenziano 63 plut. LXXVI, gliene assegna 36); ma alcune ragioni di ritenerla in origine più consistente hanno addotto il Borgognoni e il Sanesi. Con l'eccezione di un solo sonetto, "Amor, perché", d'argomento amoroso (ad altri, oggi perduti, sembra riferirsi il Bonichi nella canzone XVIII "Magnificando Amore / per lo tempo passato, / follemente ho parlato / non seguendo ragion ma volontate"), i soggetti rientrano tutti nell'ambito morale-gnomico, tipico di una certa produzione poetica soprattutto toscana degli inizi del Trecento. Convergono nel Bonichi le esperienze e i modi dei cosiddetti rimatori realistico-borghesi; gli mancano tuttavia l'abilità tecnica e il gusto della varietà, e soprattutto il tono tra scanzonato e provocante che hanno fatto giustamente definire quella produzione una "letteratura scapigliata" (Sapegno, p. 407). I temi che il Bonichi svolge sono troppo spesso ripresi e ribaditi, non come variazione e approfondimento, ma come pura ripetizione: "quando... si è persuaso della verità di un'idea, pare che egli si studii con ogni mezzo di farla entrare anche nella mente degli altri" (Sanesi, p. 20). Così avviene, ad esempio, per il concetto del "giusto mezzo", di una facile e comoda aurea mediocritas cuitutti gli uomini, secondo il Bonichi, dovrebbero attenersi in ogni circostanza della vita. La caratteristica essenziale di questo rimatore può essere in definitiva indicata in un moralismo di buon senso che, laddove non trascini il dettato a forzature e oscurità tali da farlo avvicinare alle pesantezze di un Guittone - di cui ignora peraltro il fastidioso tono predicatorio -, riesce anche di piacevole accettazione (si vedano soprattutto i sonetti, e inparticolare "Non creda alcun" e "El calzolai 'fa 'l suo figliuol barbiere"), particolarmente dove il linguaggio si veste dell'agilità e dei colori del "parlato", dove il Bonichi critica la prepotenza dei valori materialistici imposti dall'ascesa della nuova classe mercantile ("La turba stolta la virtù disprezza, / e credon nei fiorini aver riposo: / cercan l'amaro e fuggon la dolcezza", sonetto "Un modo c'è", vv. 12-14), o dove infine riesce a delineare con finezza d'osservazione e spirito bonario qualche ritratto o a proporre qualche efficace immagine (per es. nei sonetti I, VIII, X, XV, XIX, XXIII, e nelle canzoni V, VIII, XIV).

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