Tratto dal sito www.italica.rai.it
Ambrogio Lorenzetti nasce a Siena, probabilmente poco prima del 1300.
Con lui e con suo fratello Pietro si conclude la grande stagione artistica senese del XIV secolo. Le notizie sulla sua vita sono poche e imprecise. Sembra certo che egli fosse il minore dei due e che entrambi appartenessero alla bottega di Duccio di Buoninsegna.
Sebbene influenzato dalla pittura senese, Ambrogio, però, si accosta agli stilemi giotteschi. Oggi, l’identità artistica dei due fratelli è molto chiara e la critica tratta con distinzione due personalità che, dal punto di vista pittorico, hanno ben pochi tratti in comune.
Altrettanta chiarezza non si può riscontrare nelle nozioni che i contemporanei e gli storici rinascimentali ebbero sui due fratelli, se è vero che Vasari ignora la loro parentela e sembra preferirgli il fratello Pietro, mentre il Ghiberti ne loda capacità, umanità e saggezza, definendolo altrimenti dotto che nessuno degli altri e ponendolo al di sopra di Simone Martini
La prima opera accreditata di Ambrogio risale al 1319. Si tratta di una Madonna con bambino dipinta per la chiesa di Vico l'Abate, piccola località nei pressi di Firenze. Da questa data in poi si può supporre che Ambrogio, pur provenendo da Siena, lavori in Firenze.
La sua presenza in città è forse più che saltuaria, se nel 1327 viene immatricolato nell'Arte dei Medici e degli Speziali, che da quella data include i pittori e della quale fa parte lo stesso Giotto.
Ambrogio, dunque, lavora assiduamente a Firenze e nella sua città natale, spesso in collaborazione col fratello.
La sua reputazione di pittore risulta essere ottima e la critica accredita una forte influenza della pittura di entrambi i Lorenzetti sia in patria che fuori. La scuola senese conserva a lungo l'impronta dei due maestri e produce molti loro seguaci.
Nel 1347, l'anno prima della morte avvenuta nella terribile peste del 1348, Ambrogio viene eletto membro del Consiglio dei Pacieri di Siena, carica che probabilmente gli viene conferita per la sua fama di grande pittore.
Tratto da "Senesi da ricordare" di Marco Falorni.
Pittore.
N. Siena, 1285 circa - m. Siena, probabilmente 1348
Con Duccio e Simone, Ambrogio Lorenzetti completa la triade del grandissimi della pittura di Siena. Fu temperamento molto diverso da quello appassionato e drammatico di Pietro, e produsse un'arte assai più pacata, quasi filosofeggiante; e ancora, a differenza del fratello, non si scorge in Ambrogio nessuna traccia dell'ascendente di Duccio, mentre anche le derivazioni da Giotto appaiono molto più mitigate.
Fu dotato di una singolare e spiccatissima personalità artistica, più unica che originale, e di un indefesso spirito di ricerca, sorretto da una inesauribile fantasia creativa, che gli consentì di dare forme sempre nuove e precisamente caratterizzate ad ognuna delle sue opere.
Gli elementi architettonici e spaziali sono tuttavia notevolissimi nella sua pittura e, anche se costruiti più con mezzi fantastici che puramente matematici, vanno sempre più coordinandosi, per raggiungere infine un rigore prospettico capace di ottenere notevoli effetti di profondità atmosferica, come è particolarmente evidente nelle opere più tarde; parimenti, la modellatura violenta e la grandiosità delle prime forme delle figure rappresentate da Ambrogio, gradatamente si attenuano, come risulta dall'analisi delle sue «Madonne».
Scarne notizie abbiamo della sua biografia; per la prima volta è ricordato nel 1319 e per l'ultima nel 1347; sappiamo che ricoprì anche importanti cariche politiche, e che produsse una grandissima quantità di opere, anche nei centri più lontani dello Stato Senese. Con ogni probabilità, anche lui, come il fratello, perì nella terribile pestilenza del 1348, che, insieme al crollo demografico, provocò in Siena anche una netta frattura nella linea dello sviluppo artistico; la ripresa, lentamente, ci sarà, ma artisti come Ambrogio, sia pure in una città ricca di talenti come Siena, non nascono tutti i secoli.
Ambrogio fu per due volte a Firenze (1319 e 1327), e durante il primo soggiorno venne marginalmente influenzato dall'arte di Giotto, che ebbe un certo peso sul suo primo periodo di attività, al quale seguirono composizioni più preziose e ricche di ornamenti. Cercheremo di cogliere le opere principali della sua vastissima produzione.
Del 1319 è la «Madonna» di S. Angelo a Vico l'Abate, presso Firenze. Di epoca difficilmente precisabile (1320-1340 circa) e la tavola della «Madonna del Latte» nel Seminario Arcivescovile di Siena, proveniente dal Convento di Lecceto. Varie opere, in gran parte perdute, l'artista eseguì per la Chiesa di S. Procolo a Firenze (1330-32 circa); di esse restano quattro «Storie di S. Nicola» e un trittico, recentemente ricostituito, il tutto conservato nella Galleria degli Uffizi. Del 1330 circa e la «Maestà» nel Palazzo Comunale di Massa Marittima.
Ambrogio eseguì anche molti lavori nel Convento e nella Chiesa di S. Francesco a Siena, dove, intorno al 1331, realizzò i bellissimi affreschi del «S. Ludovico daTolosa che si congeda da Bonifacio VIII» e del« Martirio di sei Francescani a Ceuta in Marocco». L'affresco del «S. Ludovico da Tolosa» e opera altissima, in cui Ambrogio ci fornisce una eloquente e vivissima rappresentazione della società aristocratica del tempo, attraverso i gesti e i costumi dei personaggi, ognuno dei quali mostra di avere una propria e ben marcata individualità; per questo carattere di minuziosa ma spontanea riproduzione della realtà storica, l'opera anticipa, in certo qual modo, gli affreschi del Buon Governo. Nel «Martirio dei Francescani», l'artista ci dà invece un tale saggio di esotismo pittorico, da richiamare alla memoria le più affascinanti pagine de «Il Milione» di Marco Polo.
Del 1335 circa è l'affresco della «Maestà», recentemente venuto alla luce nella Chiesa di S. Agostino a Siena. La Pinacoteca Nazionale di Siena racchiude una quantità notevole di opere di Ambrogio di grandissimo valore; da ricordare una «Madonna con Bambino, Angioli e Santi», in cui lo splendore e la purezza dei colori, e la finezza delle decorazioni, rendono l'opera un capolavoro di squisita delicatezza; di rilievo la tavola della « Madonna col Bambino » proveniente da Rapolano (1335-1340 circa); citiamo ancora la tavola con «S. Dorotea», parte di un trittico proveniente dall'ex-Convento di S. Petronilla a Siena (1337-40 circa), in cui la Santa incarna un ideale di bellezza femminile florido e serenamente sognante tipico del pittore.
Del 1337-39 sono i celeberrimi affreschi del «Buono e Cattivo Governo» nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena. Non si può esitare a definire questa vasta rappresentazione, che più di ogni altra ha dato fama all'artista, come un vero e proprio capolavoro universale, anche se si riscontrano in essa caratteri in parte diver si dalla restante pittura di Ambrogio; vi dominano infatti concetti morali, in certo modo imposti dai committenti, i quali però, se non appartennero alla diretta iniziativa di Ambrogio, trovarono certo nell'animo dell'artista una pronta rispondenza, una appassionata e consapevole partecipazione alle vicende del proprio tempo, peraltro sempre sostenuta dal fuoco ardente di una fervida fantasia.
L'insieme dell'opera, e certe figure caratteristiche, come la splendida rappresentazione allegorica de «La Pace», hanno giustamente fatto intravedere in Ambrogio un precursore della nuova mentalita prerinascimentale. L'opera è di capitale importanza per tutta la pittura successiva e si segnala per il colore, per la dinamicita dei personaggi, per la brillantezza di soluzione dei problemi di prospettiva, posti in forme del tutto nuove e originali.
Ma a parte il valore intrinseco, l'affresco ha un'importanza fondamentale come documento storico, in quanto viene considerato come il primo dipinto puramente paesaggistico dell'intera storia della pittura, e può essere visto anche come una rudimentale mappa del territorio senese del tempo, in quanto rappresenta vaste zone della campagna circostante il capoluogo e perfino la rocca del porto di Talamone.
Gli affreschi sono inoltre una «fotografia» della Siena del tempo e più di ogni documento scritto possono spiegare allo storico attento il modo in cui si svolgevano i commerci e quale era Pordinamento sociale vigente; e fortemente suggestivo ammirare la minuzia di particolari con la quale Ambrogio Lorenzetti rappresenta la vita in città e in campagna, mentre sul tutto aleggia un alto sentimento civico e morale, per capire appieno il quale, tuttavia, occorre fare alcune considerazioni. Non ci si meravigli, infatti, di trovare, negli affreschi del «Buon Governo», i malandrini impiccati alle porte della città.
Bisogna intanto tenere presente che, al momento della realizzazione dell'opera, la potenza economica e commerciale di Siena aveva raggiunto il suo apice, così come il suo sviluppo demografico (Siena, con le «masse», cioè i territori di campagna che si estendevano fino a 10-12 chilometri dal perimetro murario, sfiorava i 200.000 abitanti).
Ora, è evidente che i reggitori del Comune cercassero con ogni mezzo di far durare un simile stato di grazia, anche usando il pugno di ferro contro i disturbatori del quieto vivere. Quindi, secondo questo criterio morale, la «Pace» altro non era che il perfetto ordinamento della società, ed in questo senso ne parlava, proprio in quel tempo, Marsilio da Padova nel suo «Defensor Paris»; in definitiva, si poteva anche fare la guerra per difendere questo tipo di «Pace», e Ambrogio Lorenzetti, nella sua opera, «fotografa» fedelmente anche questo indirizzo politico del Governo del tempo.
Dopo la realizzazione di questi affreschi, Ambrogio eseguì altre importanti opere, come la «Presentazione di Gesù» (1342), oggi conservata agli Uffizi, e soprattutto la tavola della «Annunciazione» (1344) proveniente dal Palazzo Pubblico di Siena, attualmente nella Pinacoteca della stessa città, che è anche la sua ultima opera conosciuta. Nelle sue opere più tarde Ambrogio, pur non alterando il carattere fantastico della sua arte, introduce alcune novità nelle costruzioni prospettiche e torna a dare forme ampie alle sue figure, rivestendole di uno splendido fasto decorativo.
Prima di concludere la trattazione di Ambrogio, accenniamo a due realizzazioni, conservate nella Pinacoteca di Siena, tanto piccole per dimensioni quanto grandi per importanza artistica. Si tratta di due tavolette rappresentanti una «Città sul mare» (forse Talamone), e un «Castello sulla riva di un lago» (forse un presidio di confine della Repubblica di Siena, sul Trasimeno o sul Lago di Chiusi). I due dipinti costituiscono un «unicum» in tutta la pittura europea del Medioevo e del primo Rinascimento; si tratta infatti di pitture di «paesaggio puro», cioè senza «istorie»; esse sono pervase da un sentimento lirico così potente e suggestive che non trova riscontri nel tempo in cui furono eseguite.