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PAPA GREGORIO VII - ILDEBRANDO DI SOVANA

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Tratto da "Senesi da ricordare" di Marco Falorni.

Papa Gregorio VII

Papa, Santo.

N. Sovana, 1013/1024 - m. Salerno, 25/5/1085

Come i contemporanei Pietro Igneo e Giovanni Gualberto avevano portato avanti la riforma della Chiesa nelle pur importantissime battaglie periferiche e provinciali, Gregorio si scontro con la realtà della grande storia, e dedicò la sua vita alla lotta della Chiesa contro la parte peggiore di se stessa, quella corrotta o corruttibile, e contro tutte le influenze esterne che rischiavano di snaturare il significato dell'esistenza e degli obiettivi della Chiesa stessa.

Uomo di fortissima personalità, per la fermezza e per la lucidità della propria azione politica, Gregorio si colloca a buon diritto tra i grandi di ogni tempo della Chiesa; fu portato all'azione, più che alle elaborazioni teoriche delle idee, e rimase sempre fedele all'ideale di liberare la Chiesa dalla vincolante ingerenza del potere laico; i conseguenti duri contrasti finirono poi per trasformare, nel suo pensiero, quella che aveva propugnato come «Libertas Ecclesiae» sempre più in primato del mondo ecclesiastico sul mondo laico; iniziò così la concezione teocratica del Papato, di cui Gregorio e a ragione considerato il primo grande esponente.

Ildebrando nacque a Sovana, nel contado senese, da Bonizone, che probabilmente apparteneva ad un ramo della potente famiglia degli Aldobrandeschi. Lasciò presto il paese natale per recarsi a Roma, dove uno zio Abate lo avviò alla carriera ecclesiastica, che egli intraprese entrando a far parte dell'Ordine del Benedettini Clunyacensi. L'ingegno brillante di Ildebrando non tardo molto tempo a rifulgere: la considerazione di cui godeva gia prima di diventare Pontefice conosce pochi altri paragoni, tanto che si potrebbe affermare che per certi versi la Riforma Gregoriana era gia cominciata in questo periodo.

Dopo essere divenuto Cappellano di Papa Gregorio VI, Ildebrando seppe conquistare i favori anche del successore Leone IX, di cui fu ascoltato consigliere. Da questo Pontefice, che, in aggiunta ad altre importanti cariche lo nomino anche Cardinale, gli fu affidato, nel 1054, il delicato incarico di eliminare la tensione creatasi in Francia attorno alla dottrina eucaristica di Berengario di Tours. Ildebrando godette di grande considerazione anche presso i successivi Pontefici (Vittore II, Stefano X, Niccolò II, Alessandro II), che egli spinse instancabilmente ad una sempre più intensa attività politica tesa a liberare la Chiesa da ogni soggezione al potere laico.

Alla morte di Papa Alessandro II, Ildebrando venne unanimamente eletto al Soglio Pontificio (22/4/1073) e prese il nome di Gregorio VII. Iniziò allora un crescendo impressionante di decreti, decisioni dogmatiche, disposizioni disciplinari, formulazioni teoriche, con le quali Gregorio, dapprima si liberò della corruzione interna dell'organismo ecclesiastico e della vincolante tutela imperiale, quindi passò risolutamente all'offensiva, proclamando esplicitamente la superiorità assoluta del potere spirituale su quello temporale.

Il suo vasto programma di rinnovamento, noto sotto il nome di Riforma Gregoriana, fu portato avanti con lucidità e risolutezza estreme; una ad una cadevano tutte le barriere dogmatiche limitative della suprema autorità spirituale. E' nel «Dictatus Papae» che Gregorio affermò perentoriamente la superiorità del Pontefice su ogni altra autorità terrena; secondo la sua formulazione, il Papa veniva inoltre a disporre di una diretta superiorità sui Vescovi, e poteva giudicare e condannare senza poter mai essere a sua volta sottoposto al giudizio di alcuno.

Ai fautori del potere imperiale, che sostenevano la regola che «un Re non può essere scomunicato», Gregorio ribadiva, nella sua celebre lettera a Ermanno di Metz, il suo pieno diritto di ammonire, punire e deporre i sovrani colpevoli verso la Chiesa.

Il Pontefice, non certo pago delle sue elaborazioni teoriche, si servì di tutti i mezzi per renderle effettivamente operanti, cercando anche di far giungere la sua voce, tramite i suoi numerosi legati, in tutti i paesi della cristianità. E' fin troppo evidente che un programma così radicalmente innovatore, abbia poi prodotto reazioni di vasta portata, peraltro diverse, per misura e per valutazione politica, a seconda dei vari stati.

In Italia, fu essenziale l'intima amicizia con la potente Contessa Beatrice di Toscana, e con la figlia Matilde, mentre difficili furono i rapporti con i normanni, soprattutto nei primi anni del pontificato. E' superfluo dire che, una volta esauritasi l'iniziale disponibilità al dialogo dell'Imperatore Enrico IV, vivissimi furono i contrasti con la Germania, mentre rapporti piuttosto tesi vennero intrattenuti anche con Francia ed Inghilterra. Più pacifiche furono le relazioni con gli altri stati europei ai quali Gregorio estese i principi che indirizzarono la sua azione nei confronti dell'Impero; ovunque egli chiese e ottenne, più o meno facilmente, la «Libertas Ecclesiae».

In alcuni stati, come il Regno di Ungheria, il Ducato di Polonia, il Ducato di Boemia, il Regno di Kiev, ottenne addirittura il riconoscimento dell'alta sovranità pontificia; questo risultato fu ottenuto anche in virtù degli appoggi morali e materiali dati alla formazione di quegli stati, ma soprattutto perché ai vari sovrani il Papa sembrava più vantaggioso signore di altri, in particolar modo dell'Imperatore. Stà di fatto che Gregorio si servì della sua riconosciuta sovranità, oltre che per tutelare gli interessi della Chiesa, anche per diffondere e consolidare la fede cattolica in quelle regioni, di recente evangelizzazione.

Tornando alle attività che più direttamente determinarono i contrasti con l'Impero, importante fu il Concilio di Roma del 1074, in cui fu ripresa e continuata la lotta contro il clero simoniaco e concubinario; il successivo Concilio del 1075, oltre a confermare gli indirizzi del precedente, punì con fermezza i ribelli, e sancì, con clamorosa decisione, la proibizione di ricevere la dignità vescovile dalle autorità civili.

Il fatto sollevò le proteste di tutti i sovrani laici, ma soprattutto dell'Imperatore Enrico IV, il quale, ormai esasperato dall'intraprendenza del battagliero Pontefice, non intendeva più subire limitazioni di sorta al proprio potere; il contrasto ideale sfociò in lotta aperta. L'Imperatore, riunita una Dieta a Worms, depose il Pontefice, che a sua volta lo scomunicò, sciogliendo i sudditi dal giuramento di obbedienza, e si ritirò nel castello di Canossa, ospite della Contessa Matilde di Toscana.

La scomunica fornì un comodo pretesto a molti Principi tedeschi per profittarne a proprio vantaggio, ribellandosi all'autorità dell'Imperatore, che fu messo in grave difficoltà. Enrico però, con abile mossa, si presentò in veste di penitente a Canossa (1077) per ottenere il perdono del Pontefice. Gregorio gli impose, prima di riceverlo, l'umiliazione di restare tre giorni e tre notti all'aperto, scalzo e in silenziosa attesa; poi lo ricevette, lo abbracciò benevolmente e gli tolse la scomunica, concedendogli la sua assoluzione, subordinando però la piena reintegrazione nei suoi poteri al consenso dei Grandi dell'Impero.

Enrico combattè contro quelli di loro che si opposero con le armi, e li sconfisse più volte, ma desistette dalla lotta quando fu raggiunto da una nuova scomunica lanciatagli dal Papa nel Concilio di Roma del 1080. L'Imperatore calò allora in Italia, trovando interessate alleanze anche all'interno della Chiesa, e si spinse fino a Roma, dove pose l'antipapa Clemente III e costrinse Gregorio a tenersi chiuso in Castel S. Angelo.

Tanta violenza permise però all'irriducibile Pontefice di ottenere, grazie ai buoni uffici della Contessa Matilde, l'alleanza di Roberto il Guiscardo che, preoccupato per la crescente potenza imperiale, ritenne conveniente allearsi col Papa, dal quale vide finalmente riconosciuta e accettata la sua politica antibizantina.

Furono così proprio i normanni a liberare Gregorio nel 1084, il quale, di fronte alla minacciosa ricomparsa di Enrico e dell'antipapa lasciò Roma per ritirarsi alla Corte normanna di Salerno, città dove morì, nell'amarezza della solitudine, nel 1085. Fu sepolto nella Chiesa di S. Matteo in Salerno.

E' a questo punto che, alla grandezza storica e all'umanità della sua figura si aggiunge una nota di tristezza romantica con la frase che la tradizione gli pone sulle labbra nel suo letto di morte: «Ho amato la giustizia, ho odiato l'iniquità, perciò muoio in esilio».

Gregorio VII fu proclamato Santo da Gregorio XIII nel 1583, ed è festeggiato dalla Chiesa il 25 maggio.

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