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CECCO ANGIOLIERI

elenco personaggi

Storia tratta dal libro "che si fa stasera... si dorme?!" di Bruno Tanganelli (TAMBUS)

Cecco Angiolieri

Forse proprio in quell'anno in cui, i senesi avevano inferto la sanguinosa sconfitta ai fiorentini, nella "pianata di Montaperti" (1260) battaglia che fece... "l'Arbia colorata in rosso", nasceva il più spregiudicato, irriverente e ribelle poeta del '200: Cecco Angiolieri; sarà lui stesso più tardi a riconoscere il suo scellerato modo di vivere con questi versi:

"Da la cima del capo 'nfin al suolo

cosa non regna 'n me che bona sia".

Egli nacque da Messer Angioliero, signore del Comune della città e banchiere di Papa Gregorio IX, e da Monna Lisa, appartenente alla nobile casata dei Salimbeni.

Dunque, il bizzarro poeta senese nacque da una famiglia ricca. Giovanetto, si applicò agli studi, ma il suo carattere ribelle ben presto si manifestò: piaceva a Cecco, nobile senese, vivere in mezzo ai ragazzacci dei rioni di Siena.

Scorazzava tutto il giorno e parte della notte, in quelle vie nostra città semibuie che ancor oggi allo sguardo ricordano la atmosfera del passato. Il gioco preferito per strana coincidenza, quello della "civetta" molto in voga a quei tempi e chi sa... non abbia dato nome alla Contrada in cui era nato.

Il suddetto passatempo consisteva in questo: tutti chio intorno a tre dei giovinastri che vi partecipavano. Uno si poneva al centro con il cappello in testa e gli altri due alla distanza "d'un braccio", tentavano con manate di togliere il cappello all'avversario.

Forse il gioco fu chiamato così perchè il giocatore di centro, per schivare i colpi, era costretto ad alzarsi od abbassarsi "e giocar di testa" proprio come fa la civetta.

La notte, quando tutta la città sembrava acquietarsi, lui, Cecco, insieme ai compari correva per gli entroni a schiamazzare oppure a prendersi gioco dell'uomo con la lanterna che girava le strade annunciando l'ore notturne. Più tardi la taverna, i luoghi infimi e i postriboli. Del resto è sempre lui che lo dice in uno dei suoi sonetti:

"Tre cose mi sono in sommo grado:

la donna, la taverna e il dado

queste mi fanno il cuor lieto sentire".

Cecco "sguazzava" in questa sua vita sregolata... E forse ne soffriva.

Odiò il padre e la madre perché lo tenevano a "stecchetto", lui che essendo di famiglia ricca non aveva mai "un becco d'un duino".

Le sue scappate notturne lo coinvolsero in risse tremende e a trenta anni fu processato per aver ferito insieme a Biccio di Ranuccio un certo Dino di Montelupo, ma mentre il suo complice fu condannato, lui venne assolto: forse per l'influenza della nobile famiglia.

Si racconta che Cecco abbia, alla battaglia dell'assedio di Turri in Maremma, anche disertato vendendosi l'armatura per far quattrini.

Poco si sa di questo poeta senese che insieme a Dante e al Boccaccio contribuì non poco a gettare le basi della lingua e della letteratura italiana.

Lo stesso Dante lo rammenta nella "Vita Nova" e nel "Convivio" e con lo stesso, Cecco scambiò attraverso le rime alcuni suoi pensieri.

Nei confronti del Poeta fiorentino fu rispettoso e al tempo stesso irriverente come quando dice:

"E, se di questo voi dicere piùe,

Dante Alighier, i' t'averò a stancare

ch'eo so' lo pungiglion, e' tu se' 'l bue.

Cecco ebbe pochi amici e molti nemici, odiò tutto e tutti, l'unico grande immenso amore fu Becchina, la donna alla quale dei suoi 150 sonetti ben 100 dedicò.

Un amore disperato anche perché Becchina, figlia di un pellaio che trattò con violenza il poeta, era una creatura non facile da domare.

Forse per questo Cecco Angiolieri, che tutto dispregiava, rimase invischiato nella ragnatela che questa donna seppe così bene tendergli.

Nei suoi sonetti a Becchina, Cecco smentisce con una gragnola di versi aggressivi "il dolce stil novo", non decanta la donna amata in modo platonico o in angeliche volate, ma ne descrive acutamente la sensualità del corpo in varie circostanze:

"Oncia di carne, libra di malizia,

perché dimostri quel che 'n cor non hai?".

Una vita consumata alla ricerca di qualcosa che Cecco non troverà mai, non trovò quindi conforto nell'amore, non trovò amore nella famiglia che lasciò alla sua morte piena di debiti.

Ben poco si sa della sua vita ricostruita quasi completamente leggendo i sonetti che ha lasciato.

Resta appunto di lui il Canzoniere che oggi viene riscoperto da editori di fama internazionale, come un saggio della Rizzoli a cura di Gigi Cavalli.

Anche Siena si è ricordata di questo suo figlio dal parlare aspro e tagliente, messo all'indice dalla chiesa, rinnegato dalla famiglia,dedicandogli un Palio che, vedi caso, è stato vinto proprio dalla Civetta.

Forse quella sera del 2 luglio del 1979 Cecco è voluto tornare nel suo Castellare.

Leggi i sonetti di Cecco Angiolieri »

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