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FABIO CHIGI - PAPA ALESSANDRO VII (1599-1667)

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Papa Alessandro VII (Fabio Chigi)

Fabio nacque a Siena il 13 febbraio 1599, dalla ricca casata dei banchieri Chigi. La sua nobile famiglia, nei primi decenni del 1500, aveva avuto grande splendore non solo nella propria città, ma soprattutto a Roma dove Agostino Chigi detto il Magnifico, era divenuto il banchiere più ricco e potente, protetto da Giulio II della Rovere che aveva concesso ai Chigi di fregiarsi della quercia, emblema della sua famiglia.

Ben presto era però subentrato un periodo di stasi, coevo alla caduta della Repubblica Senese, periodo in cui i destini della famiglia e della città di Siena sembrarono volgere al peggio, ma proprio intorno al momento della nascita di Fabio esse incominciarono a mostrare i primi segni di ripresa.

Si riaprirono le Accademie, l'Università si riformò, le arti ripresero il loro corso sia sperimentando un linguaggio consono agli ideali della riforma cattolica, sia aprendosi alle novità della pittura naturalistica.

Fabio partecipa di questa cultura: consegue tre lauree all'Ateneo Senese, in utroque iure, in filosofia e in teologia, che evidenziano l'estensione del suo sapere che va dalla letteratura alla filosofia, dalla storia locale all'architettura.

Gli studi vitruviani erano una tradizione illustre nella Siena cinquecentesca e Fabio, grazie anche alla biblioteca del prozio Agostino, poté formarsi quella cultura architettonica che fu alla base, dopo l'ascesa al soglio pontificio, del suo progetto di creazione della Roma moderna.

Ma fu proprio dopo il trasferimento a Roma e il legame con le cerchie culturali barberiniane, favorito da amici senesi residenti nell'Urbe, tra i quali l'archiatra pontificio Giulio Mancini, a scuotere le sue conoscenze e la sua sensibilità artistica; frequentava infatti le Accademie dei Lincei, dei Virtuosi, degli Umoristi e personaggi quali Agostino Mascardi, Giovanni Ciampoli, Virginio Orsini. Scrittore attento dei fasti della propria famiglia in quei "Chisiae Familiae Commentarii" composti in latino e continuamente aggiornati, Fabio a Roma ripercorre i siti legati al suo antenato Agostino il Magnifico.

Mentre si andava amplificando la sua cultura umanistica, di pari passo incedeva anche la carriera ecclesiastica. Nel 1629 è nominato Vicelegato di Ferrara e Commissario regolatore dei confini con il Veneto, incarichi che conservò fino al 1634, quando, ordinato prete, giunse a Malta in qualità di Inquisitore e Visitatore Apostolico; nel 1635 è nominato vescovo di Nardò. Nel 1639 ha ricoperto la carica di Nunzio pontificio nella città di Colonia.

Da qui passò a Münster dove iniziò un'opera di mediazione tra Spagna e Francia, appoggiato dall'ambasciatore veneto Alvise Contarini.

In quanto partecipante ai Congressi di Münster e Osnabrück, ebbe parte importante negli avvenimenti politici internazionali che prepararono la pace di Westfalia, che concludeva la guerra dei Trent'anni, ma i cui protocolli si rifiutò di firmare, in quanto contrari agli interessi della Chiesa.

Nell'autunno del 1651 assunse la carica di Segretario di stato di Innocenzo X e il 19 febbraio 1652 è nominato cardinale con il titolo di Santa Maria del Popolo; nel maggio 1653 è nominato arcivescovo (con titolo personale) di Imola.

Nel conclave per eleggere il successore di Innocenzo X, cominciato il 17 gennaio 1655, inizialmente era prevalso il partito spagnolo, perché più numeroso ed attivo e composto da cardinali appartenenti a famiglie potenti, come quelle dei Medici, dei Colonna, dei Caraffa, dei Capponi, dei Trivulzio. La Francia aveva appoggiato le candidature dei cardinali Sacchetti e Rapaccioli, ma senza successo. Il 7 aprile 1655 il conclave elesse il cardinal Chigi che assunse il nome di Alessandro VII.

L'attività politica durante il governo di papa Alessandro non fu di particolare rilievo. Durante il suo pontificato, precisamente nel 1662, alcuni incidenti avvenuti a Roma tra i soldati francesi e quelli corsi al servizio della Santa Sede, diedero pretesto all'ambasciatore francese Créquy di infliggere una grossa umiliazione alla Sede Apostolica: nella relazione al suo governo egli rappresentò l'incidente come una ignobile violazione del diritto organizzata dai parenti del pontefice e dal cardinale Imperiale, governatore di Roma.

Ne seguì che Luigi XIV ordinò al Nunzio Pontificio di lasciare Parigi; il Créquy, in una circolare diramata al corpo diplomatico, chiese come primo compenso la degradazione del cardinale, l'estradizione del fratello del papa, don Mario Chigi, capitano delle armi, l'invio a Parigi di un Legato pontificio per fare le scuse alla corte francese, la condanna a morte di alcuni corsi, l'erezione di una colonna in memoria dell'accaduto e infine la restituzione di Castro ai Farnese e di Comacchio agli Estensi.

Invano il Pontefice deplorò il fatto, escluse la responsabilità del suo governo e si dichiarò pronto a dare una onorevole riparazione, invano vari principi italiani cercarono di acquietare il sovrano e di indurlo ad un aggiustamento; il Créquy non volle recedere alle sue richieste e Luigi XIV fece chiaramente comprendere che era pronto a farsi giustizia con le armi.

Di fronte all'atteggiamento risoluto della Francia, al Pontefice non rimase che cedere e il 12 febbraio del 1664 firmò a Pisa la Pace omonima, un accordo che prevedeva queste condizioni: il cardinale Chigi sarebbe andato a Parigi a presentare le scuse del governo pontificio, don Mario avrebbe dichiarato di essere stato estraneo all'incidente, il cardinale Imperiale si sarebbe recato in Francia per presentare le sue giustificazioni, i parenti e i ministri del papa avrebbero ricevuto solennemente in Roma il duca e la duchessa di Créquy (e tutti coloro che ne avessero preso le difese sarebbero stati amnistiati), si sarebbe dovuto dichiarare pubblicamente l'incapacità dei Corsi di servire lo Stato della Chiesa e, a memoria del fatto, sarebbe stata eretta una piramide di fronte al loro Corpo di guardia.

Nel 1656 Alessando si espresse chiaramente contro il Giansenismo, rigettandone le cavillose scappatoie a cui i giansenisti si appellavano, dichiarando che le cinque proposizioni, già inquisite da Innocenzo X, erano state effettivamente tratte dall'"Augustinus" di Giansenio e venivano condannate nel senso espresso dell'autore.

Questa presa di posizione non sortì gli effetti desiderati: molti si rifiutarono di sottoscrivere il formulario di sottomissione prescritto nel 1657 dall'assemblea generale del clero francese e più tardi (1664) dallo stesso papa Alessando, sebbene re Luigi, che per motivi politici dal 1660 avversava il Giansenismo, minacciasse con la privazione dei benefici ecclesiastici quanti rifiutavano la sottoscrizione.

Le monache di Port-Royal, il monastero centro di irradiazione giansenista, furono colpite da censura e l'arcivescovo di Parigi nel 1664 lanciò sul monastero l'interdetto. La calma arrivò solo con il successore di papa Alessandro.

Oltre che il Giansenismo, nel 1665 condannò il Lassismo (45 proposizioni) esasperazione del Probabilismo teologico 'gesuitico', contro il quale si espresse diverse volte, per bocca di una commissione di teologi domenicani da egli stesso costituita.

Nel 1656 permise alcuni riti cinesi, come costumi civili. Fece trasferire il ricco Orto Botanico, avviato nel 1278 da Nicolò III, sito in Vaticano, presso l'Orto dei Frati Minori, che si trovava dietro il convento di San Pietro in Montecitorio. Introdusse, lui e non la Francia come erroneamente si riteneva, la tassa sul tabacco: il monopolio fu affidato ai farmacisti, poichè inizialmente esso veniva usato a scopo curativo. Ben presto dall'uso si passò all'abuso: i medici si scagliarono contro il suo consumo denunciando i danni che poteva arrecare all'organismo.

Per questo motivo egli stesso condannò quelli che aspiravano il tabacco in chiesa. Solo con papa Benedetto XIV, accanito fumatore, la tassa sul tabacco, quindi il monopolio, venne abolita: da quel momento chiunque avrebbe potuto coltivarlo e venderlo anche al di fuori dello Stato Pontificio senza pagare nessuna tassa.

Grazie alle sue sagge disposizioni riuscì ad arginare il contagio di peste (e di conseguenza il numero dei morti) diffusasi durante il suo pontificato; epidemia che mietè molte vittime nelle regioni centro-meridionali.

Nel 1655 accolse solennemente a Roma la regina Cristina di Svezia, convertitasi al Cattolicesimo e che proprio da Alessandro VII ricevette il sacramento della Cresima; per l'occasione fece rimordernare da Gian Lorenzo Bernini la Chiesa di santa Maria del Popolo con l'omonima porta (internamente; esternamente era stata già sistemata da Nanni di Baccio Bigio, forse su disegno di Michelangelo).

Ed è principalmente per la sua vasta opera di mecenate delle scienze e delle arti che papa Alessandro VII è oggi principalmente ricordato e apprezzato. Egli si impegnò, effondendo infaticabili energie, nella ricostruzione e nell’abbellimento della città, che ornò di magnifici monumenti, affichè la Roma papale diventasse "caput orbis", l'erede cristiana della Roma imperiale.

I suoi interessi culturali lo portarono ad essere uno dei più sensibili e attenti sostenitori dei protagonisti della grande stagione del Barocco romano come Gianlorenzo Bernini e Pietro da Cortona; mentre, durante il suo periodo, il Borromini perdeva sempre più considerazione. A ben ragione papa Alessandro si è meritato l'appellativo di 'ridisegnatore' della città eterna: opere come la Scala Regia in Vaticano (che dalla Porta bronzea sale al Palazzo apostolico), le Chiese gemelle di piazza del Popolo, il Corso, santa Maria della Pace, santa Maria dei Miracoli, la facciata del palazzo (ora detto Odescalchi) di piazza Santi Apostoli, piazza della Minerva, piazza del Pantheon, l'emblema bronzeo dell'Obelisco di piazza san Pietro, le Fontane di piazza san Pietro (la fontana di destra, guardando la facciata, esisteva fin dai tempi di Innocenzo VIII; papa Paolo V, in occasione dei lavori di canalizzazione dell'acqua, diede incarico all'architetto Carlo Maderno per il completo rifacimento; la fontana di sinistra fu realizzata dal Bernini rispettando rigorosamente il modello del Maderno; entrambe le fontane sono in asse con l'obelisco) restano veramente immortali nel tempo.

Simpatico l'aneddoto che si racconta su Cristina di Svezia, la quale, durante la sua visita a Roma, vide in funzione la prima fontana. Sbalordita da tutto l'insieme, Cristina osservò a lungo, soprattutto i meravigliosi getti d'acqua. Poi sorrise agli accompagnatori pontifici e disse: "Bello, bellissimo grazie! Ma adesso potete spegnerla". Ci volle molta fatica per convincerla che i "giochi d'acqua" non erano proprio in suo onore e che funzionavano sempre, cosa, questa, che stupì molti altri diplomatici e viaggiatori illustri!!! All'epoca le due fontane consumavano circa sei milioni di litri al giorno, oggi sono munite di un dispositivo che permette il riciclo dell'acqua.

Ma l'opera più imponente e maestosa resta il Colonnato di piazza San Pietro, progettato e costruito dal Bernini dal 1656 al 1667, come due braccia che "accolgono i cattolici per confermarli nella fede, gli eretici per riunirli alla Chiesa, gli infedeli per illuminarli". Immaginato come un grande abbraccio della piazza ellittica, il Colonnato è costituito da imponenti porticati a quadruplice file di colonne doriche, delimitanti tre corsie, di cui la mediana è la più larga: 284 colonne, 88 pilastri per 240 metri di larghezza.

La trabeazione è coronata da 140 statue di santi e da grandi stemmi di Alessandro VII. Per rendere più efficace la sua idea Bernini edificò il Colonnato in modo da ottenere effetti ottici. Camminandovi al fianco pare che sia in movimento; guardandolo dal centro dalla piazza, nel punto indicato da una pietra circolare nei pressi dell'obelisco, il colonnato sembra composto di una sola fila di colonne.

Non si può tuttavia affermare, come invece qualche storico ha ammesso, che il prevalente interesse di Alessandro VII nei confronti dell'architettura e della scultura, relegasse in secondo piano la pittura. Pietro da Cortona, il Maratta, il giovane Gaulli, il Mola, Raffaello e Michelangelo Vanni, Bernardino Mei sono i protagonisti di una stagione pittorica sviluppatasi intorno a papa Chigi che incomincia ad assumere, grazie alla ricerca storico-artistica di questi ultimi anni, contorni più precisi.

Pregiate e notevoli in questo periodo sono pure le variegate decorazioni, che uscivano dalle mani di artigiani illustri quali l'Andreoli, e le preziose argenterie che fiorivano in forme tali da portare agli apogei più solenni ogni aspetto della cultura della corte e che si avvalevano del disegno e del modellato dei principali scultori tra i quali il (sempre presente) Bernini e il Ferrata.

Inoltre grande impulso infuse alla vita culturale e accademica del tempo, procedendo nella costruzione della sede dell'Università romana e favorendo gli studi letterari e scientifici. Nel 1658, Carlo Cartari, romano erudito e uomo di legge, membro sostituito del collegio degli Avvocati Concistoriali, insieme a Carlo Emanuele Vizzani, rettore dello "Studium", suggerirono al pontefice il completamento della seconda ala del palazzo della Sapienza e l'istituzione di una Biblioteca al servizio dell'Università. Alessandro VII si convinse immediatamente ed assegnò per i lavori una somma iniziale di 200.000 scudi. Si preoccupò indi di reperire fondi librari di carattere generale, che fossero di supporto alle discipline insegnate alla "Sapienza": a tale scopo acquistò la Biblioteca dei Duchi di Urbino.

Non dimenticò la sua terra di origine: Siena. I luoghi chigiani in terra senese sono particolarmente pregiati; ricordiamo: la berniniana Cappella della Madonna del Voto nella Cattedrale, il palazzo Chigi Zondadari (ancora oggi proprietà dei discendenti), la peruzziana Villa Chigi a Vico Bello, la Villa di Cetinale, il Palazzo Chigi a San Quirico d'Orcia con il monumentale giardino noto come Horti Leonini.

É innegabile, tuttavia, che il trionfo del mecenatismo chigiano, impregnato di barocco, avvenga in un periodo in cui il papato deve far fronte a crisi demografiche, ad un crescente indebitamento e a una forte crisi economica. Sono queste le ombre di un papato che aveva voluto agli inizi rompere con la tradizione nepotistica della curia romana e che aveva poi richiamato da Siena la sua famiglia per farla partecipare alla costruzione della nuova Roma e alla acquisizione dei feudi della campagna romana.

Tre anni prima dell'apertura al pubblico della "sua" Biblioteca (quella dell'Università), Alessandro VII si spense, il 22 maggio 1667. La sua tomba in san Pietro è opera del Bernini, specchio di quello stesso Barocco che in vita si era prodigato a diffondere. Nello stesso anno Francesco Borromini, l'antagonista per eccellenza del Bernini, moriva suicida.

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Tratto da Pillole di Maura Martellucci e Roberto Cresti

Papa Alessandro VII: un uomo di religione che amò la cultura, l’arte e Siena

Il 7 aprile 1655 Fabio Chigi viene eletto papa con il nome di Alessandro VII, in ricordo di un altro papa senese, Alessandro III Bandinelli. Riassumere in poche righe una figura tanto complessa, sia nella sua opera come uomo di Chiesa, sia come uomo di cultura e mecenate è impossibile.

Nato a Siena nel 1599 (come ricorda un’epigrafe fatta apporre nel Casato di Sotto,dalla Contrada dell’Onda nel terzo centenario dalla morte) cresce in una delle famiglie più importanti della città, negli ambienti letterari che lo formeranno all’amore dell’arte e del bello.

Lascia presto Siena per seguire una carriera ecclesiastica in continuo crescendo, una carriera che lo rende presente ai fatti storici nodali del periodo: è vescovo di Nardò e inquisitore di Malta nel 1635, Nunzio a Colonia nel 1639 e al congresso di Muster tra il 1643 e il 1648. Torna a Roma nel 1651 come segretario di Innocenzo X e l’anno successivo sarà Cardinale. Sorvoliamo i tratti salienti del suo papato che lo vedono in lotta contro il Giansenismo, impegnato nel riformare la Chiesa di Roma e alcuni Ordini ed Istituzioni religiose, in lotta contro la Francia di Mazzarino e Luigi XIV. Emana bolle importanti, indice due Giubilei. Ma non da meno è la sua opera in ambito artistico e architettonico, sempre a fianco dell’amico di una vita: Gian Lorenzo Bernini.

La tradizione vuole che la sera stessa dell’elezione il pontefice fece chiamare l’artista per affidargli nuovi e prestigiosi incarichi e sarà Bernini a rendere San Pietro splendida come la vediamo oggi. Una concezione (applicata anche ad altre piazze ed opere romane) scenografica che, con il suo colonnato, simboleggia l’abbraccio all’umanità. E, tra le molteplici opere, nomino la “Cattedra di San Pietro”, probabilmente il capolavoro berniniano.

Ma anche a Siena, Alessandro VII, fa sentire la sua influenza, sia per i preziosi doni che invia alla città natale sin dalla sua elezione, sia per gli interventi che opera negli anni. Un esempio ne è la cappella Chigi, da lui voluta in cattedrale per custodire in modo degno l’immagine della Madonna del Voto, tanto venerata dai senesi.

La cappella è rimasta in patronato alla nobile famiglia Chigi fino agli ultimi decenni del Novecento. Oppure le innumerevoli reliquie da lui donate tra cui la Rosa d’Oro (1658), commissionata proprio a Bernini e destinata al Duomo (oggi visibile nella sala del tesoro del Museo dell’Opera della Metropolitana), sei reliquiari in argento con i busti di Santi dell’Opera Metropolitana e il reliquiario con il velo di Maria e il manto di San Giuseppe per la Collegiata di Santa Maria in Provenzano, alla quale la famiglia Chigi era particolarmente legata. Questo legame è dimostrato anche il pregiato stendardo (in origine quelli inviati erano tre: due di dimensioni minori), sempre destinato a Provenzano e oggi collocato sopra l’altare maggiore.

Un manufatto unico nel suo genere, decorato con e armi dei Chigi della Rovere e le insegne pontificie realizzato a filo d’oro e circondato da una cornice di velluto rosso. Alessandro VII, intenditore “di pitture, di sculture, di medaglie antiche, di archivi particolarmente”, come si definiva, muore a Roma maggio 1667 e viene sepolto nella Basilica di San Pietro. Il suo monumento sepolcrale sarà costruito dall’amico di una vita, Bernini.

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