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GIOVANNI DUPRÈ (Siena 01/03/1817 - Firenze 10/01/1882)

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Tratto dal sito www.scultura-italiana.com

Giovanni Duprè

Dopo Lorenzo Bartolini lo scultore di maggiore spicco ed autorità in Toscana e fuori fu il senese Giovanni Duprè che iniziato all'arte dal padre intagliatore in legno e dopo un breve alunnato all'Istituto d'arte di Siena si trasferì a Firenze dove godette della stima e della protezione del Bartolini.

A venticinque anni (1843) modellò un Abele moribondo che gli diede subito fama (il marmo fu acquistato dallo zar di Russia, la replica in bronzo è nella Galleria d'arte moderna di Firenze), anche per lo scandalo suscitato dal suo realismo per cui fu calunniosamente accusato di aver fatto un calco dal vero:

tuttavia, con i suoi distesi profili e col suo delicato e attento modellato è una bellissima scultura, assai superiore all"urlante" ma freddo Caino che l'artista eseguì l'anno dopo.

In realtà tutta la scultura del Duprè oscillò sempre tra la tradizione accademica e il naturalismo, avvicinandosi ora all'uno ora all'altra, per altro sempre dando prova di un consumatissimo "mestiere".

Così, se la prima ad esempio prende il sopravvento nel mediocre rilievo col Trionfo della Croce (1861) nella lunetta del portale centrale della facciata della chiesa di Santa Croce, e nel macchinoso monumento al Cavour a Torino (1878), al secondo, inteso con moderazione, si deve la vitalità che si sprigiona dalla "bonaria rozzezza" che egli stesso scrisse di aver voluto conferire alla bella statua di Giotto (1844) nel loggiato degli Uffizi, per il quale egli eseguì pure un Sant'Antonino improntato a composta mestizia.

Però anche quale ideale di pagana bellezza egli sapesse esprimere affrontando un soggetto classico lo dimostra la Saffo abbandonata della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma nel cui volto e nella cui salda nudità affiora un vago ricordo michelangiolesco che tuttavia contrasta un po' con l'accademica cincischiatura del drappo che la avvolge dai fianchi in giù.

Con assai maggior sobrietà di modellato e con rigorosa unità compositiva rivelantesi nella larghezza e continuità dei profili egli eseguiva nel 1867, ispirandosi forse ad un noto capolavoro di fra Bartolomeo, una delle sue opere più felici: la Pietà nella cappella Bichi Ruspoli nel Cimitero della Misericordia di Siena.

Il suo raccolto e tenero patetismo riflette il sincero sentimento religioso che il Duprè ebbe nella vita e nell'azione, anche se per essa suona un po' eccessiva la goffa lode tributatagli dal poeta Aleardi: «forma antica e sentimento moderno, anima cristiana con in mano scalpello greco».

Dalle sue idee sull'arte, del profondo, assiduo e talvolta travagliato impegno che pose nel suo lavoro nonché del mondo artistico del suo tempo il Duprè ci ha lasciato una vivace testimonianza nei suoi Ricordi autobiografici, un delizioso libro scritto in limpidissima lingua toscana che, pubblicato nel 1879, ebbe subito grandissima diffusione anche in edizioni straniere e che oggi nessuno legge più.

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