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FERDINANDO III DI LORENA (1769-1824)

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Tratto dal libro "La storia di Siena" di Giuseppe Bortone

Ferdinando III di Lorena

Secondogenito di Pietro Leopoldo, fu chiamato a succedere al padre il 24 di giugno del 1791, poco più che ventenne. Le riforme di Leopoldo si erano susseguite con troppa rapidità e, forse, con qualche incomprensione da parte del popolo; per cui il solido edifizio che egli s'era illuso di aver fondato cominciò a sgretolarsi. Ciò accadeva proprio mentre lo spirito rivoluzionario partito dalla Francia cominciava a diffondersi in tutti i paesi d'Europa; quando nell'anima del vecchio continente già penetrava ogni giorno di più una trepida aspettazione di cose nuove e di straordinari avvenimenti.

Le idee illuministiche, sebbene monche ed incerte, giungevano e circolavano anche a Siena. E non potevano che essere accolte con entusiasmo, dal momento che portavano l'etichetta della libertà, da questo popolo che per la libertà aveva sempre avuto un culto speciale.

Nel 1792, nel teatro degl'Intronati, erano calorosamente applaudite le tragedie dell'Alfieri, le tragedie e le commedie di Voltaire, e il «Bruto II» alferiano si rappresentava fin nel teatro del nobile collegio Tolomei.

Ferdinando III cercò di restare, per quanto gli fu possibile, scrupolosamente neutrale; ma ben si capiva che quell'atteggiamento non sarebbe potuto durare a lungo, specialmente dopo la discesa di Napoleone in Italia, la proclamazione da parte dei giacobini della Repubblica romana, e la partenza del Pontefice per Siena, avvenuta il 20 di febbraio del 1798. - «Quegli avvenimenti annunziava no agli animi vigili che a nulla più sarebbe servita la neutralità toscana e che, tra le cozzanti correnti della storia contemporanea, nessuna forza interna avrebbe potuto più consentire alla Toscana la conservazione di quella felice ed accorta posizione di equilibrio che era durata per secoli: gli avvenimenti ai quali la Toscana non poteva più opporre alcuna resistenza costituivano il primo atto di un dramma grandioso che si sarebbe svolto in rapidi e possenti episodi, sul vasto scenario di tutte le regioni italiche, e che avrebbe avuto per epilogo l'annullamento delle vecchie barriere regionali e la costituzione dello Stato unitario».

Nel 1798, dunque, il Pontefice Pio VI, cacciato da Roma, cercò rifugio in Toscana e precisamente a Siena, dove giunse nel pomeriggio del 25 febbraio, andando al alloggiare nel convento di S. Agostino.

Al governatore della città, Vincenzo Martini, furono date dal Ministero istruzioni rigorose - per misure di prudenza politica - circa il contegno della cittadinanza, delle autorità ed anche dei Vescovi della regione.

E, di lì a poco, gli fu affidato un compito anche più ingrato, quello di avvertire il pontefice che era necessario si allontanasse da Siena; dal quale incarico lo dispensò il terremoto del 26 di maggio, che danneggiò gravemente la città, e per il quale Pio VI fu costretto prima a cercar rifugio nel palazzo Gallerani, e poi, il lodi giugno, ad abbandonare il territorio senese.

Il Granduca mandò a Siena ingegneri e la somma di diecimila scudi per provvedere ai primi bisogni della gente povera rimasta senza tetto.

Intanto, nulla giovava al governo granducale la tanto scrupolosa neutralità; ché, il 25 di marzo del 1799 le truppe francesi, incoraggiate dal Direttorio a ampliare le loro conquiste in Italia, entravano in Firenze; il 27, scortati da un drappello di usseri, ne uscivano il Granduca e la Granduchessa, con i quattro figli e i familiari.

Il 29, i Francesi vennero a Siena, accolti con grandi segni di gioia dalla popolazione: «giacobini, israeliti e repubblicani recavansi in folla fuori la Porta Camollia ad incontrare i soldati di Francia, creduti da loro i salvatori dei popoli, i liberatori d'Italia, e li accolsero con acclamazioni ed al suono della banda cittadina».

Il 7 d'aprile del 1799 fu festeggiato solennemente l'innalzamento dell' albero simbolico della Libertà; presenti tutte le autorità e gl'impiegati d'ogni ordine, con le Contrade e le rispettive bandiere, il clero, «il cittadino Arcivescovo ed i deputati della Nazione Ebrea, tutti portando in fronte scolpita la serenità del cuore e la letizia»; mentre il cittadino commisario Abrâm prometteva che «avrebbe travagliato con i Senesi, tanto nella città, come nella provincia, alla rigenerazione della loro antica libertà».

Ma la più cocente delusione doveva tener dietro all'entusiasmo; perché, ben presto, cominciarono le violenze da parte dei soldati, le estorsioni e le spoliazioni d'ogni genere da parte de' commissari. Ciò che, soprattutto, rese odiosa a' Toscani la nuova dominazione fu il trafugamento di capolavori artistici e di preziosi manoscritti; così i francesi venivano ad offendere d'orgoglio degli Italiani in quanto avevano di più sacro e di più caro».

Una rivolta scoppiò ad Arezzo, propagandosi a mano a mano al grido di «Viva Maria» per tutti i paesi della provincia e della regione. In Siena, le bande aretine penetrarono il 28 di giugno, simultaneamente delle Porte Pispini, Romana e Tufi. Purtroppo, san rimasti famosi «le scene sanguinarie, le rapine, i furti, le violenze d'ogni specie a cui si abbandonarono quelle bande di fanatici, avide di sangue e di vendetta, aiutate da una plebaglia feroce e cupida di bottino, che in quel giorno saziò le sue malvagie voglie e i suoi brutali istinti». Furono presi particolarmente di mira i rossi, fra cui non pochi illustri docenti dell' Ateneo, e gli ebrei, molti dei quali furono bruciati in piazza con la statua e l'albero della libertà.

Il presidio francese, rifugiatosi nella cittadella della Fortezza, capitolò dopo cinque giorni: verso la metà di luglio tutte le truppe francesi erano partite dalla Toscana. Ma non tardarono a ricomparire.

Dopo la vittoria di Napoleone a Marengo, nel giugno del 1800, esse tornarono a invadere i territori già prima occupati: nel settembre, rientravano in Firenze: nell'ottobre, a Siena. - Anche questa seconda occupazione non durò a lungo perché, il 10 di gennaio del 1801, il presidio francese fu scacciato da Siena dalle truppe napoletane. Ma rientrò ben presto al comando del generale Miollis, il quale impedì che la città fosse saccheggiata «adducendo che gli abitanti non avevano fatta alcuna resistenza all'entrata dei Francesi».

Intanto per la pace di Lunéville stipulatasi nel 1801, la Toscana, eretta in Regno d'Etruria, veniva assegnata al duca di Parma, mentre a Ferdinando III si dava in cambiò un principato in Germania.

Il 1° d'agosto del 1801, si riceveva comunicazione dell' editto del 26 luglio, col quale Ludovico I dichiarava di prender possesso del nuovo Regno. La rappresentanza di Siena fece atto di ossequio al nuovo ed ignoto sovrano.

Egli sembrava animato da buoni propositi; ma non potè tradurli in atto, perché, trentatreenne appena, il 27 di maggio del 1803, moriva. La reggenza fu affidata alla Regina Maria Luisa la quale, 1'anno successivo visitò Siena, molto benevolmente accolta. Lo spettacolo del Palio le piacque tanto che, a sua richiesta, fu ripetuto.

Avvenimento notevole, per Siena, nell' anno 1804, fu il passaggio del Pontefice Pio VII, che si recava a Parigi per incoronare Napoleone Imperatore.

Gli atti della reggente non furon tali da scontentare le popolazioni di Toscana; però essi erano severamente sorvegliati da emissari francesi, fino al punto che fu rimproverato che fossero state pubblicate e messe in circolazione nel Regno le opere dell' Alfieri; per cui in data 18 settembre 1806, veniva promulgato questo decreto: «S. M. la Regina Reggente, informata della qualità delle opere postume del conte Alfieri, ha ordinato, tanto per motivi di religione quanto per ragioni politiche, che, fino a nuove disposizioni, resti proibita a tutti nei suoi stati felicissimi la stampa, lo smercio e la circolazione delle suddette opere...».

Questo, in fondo, non era che un pretesto. Se lo si aggiunge al rifiuto opposto alla domanda di cessione alla Francia della Venere de' Medici, alla riluttanza a partecipare al Blocco continentale, alla soverchia condiscendenza del governo della reggente nei confronti della Curia romana, ci si rende conto delle ragioni che determinarono Napoleone ad incorporare la Toscana al suo impero: ciò che fu stabilito nel trattato franco-spagnolo di Fontainebleau del 29 ottobre del 1807.

Una delle conseguenze più importanti di tale annessione fu la sostituzione della legislazione napoleonica a quella toscana e, per Siena, la soppressione dell'Università, a datare dal 10 di gennaio del 1809.

Nel marzo di quest'anno, la reggenza della Toscana veniva affidata alla sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi, la quale, il 14 di maggio, venne a Siena: feste, Palio, balli, tornate accademiche, iscrizioni, versi a iosa, e fin la sostituzione di uomini ai cavalli della carrozza ove si trovava la reggente al momento dell'arrivo.

Ma anche il suo governo non durò a lungo; travolto dalla sete di grandezza e di potenza del suo capo, l'impero napoleonico si sfasciò; per cui, la mattina del 3 di febbraio del 1814, i Francesi che si trovavano in Siena furono costretti ad allontanarsi e, tre giorni dopo, vi entravano le truppe borboniche del regno di Napoli. Fu abbattuta l'arma imperiale del Palazzo Pubblico, «e il popolo a furia di sassate e con altri mezzi, abbattè le altre, le abbruciò, prorompendo in contrassegni di esultanza per il felice evento della liberazione del giogo pesante del governo francese».

Un cronista senese del tempo nota che, nel periodo della dominazione francese, furon cantati in Duomo non meno di venti Te Deum: per chi se ne andava, naturalmente, per chi ci veniva, o ritornava...

Il 1° di maggio del 1814, il principe Giuseppe Rospigliosi prendeva possesso del Granducato, in qualità di Commissario plenipotenziario di Ferdinando III, il quale rientrava in Toscana il 15 settembre dell'anno medesimo in ottemperanza ai deliberati del Congresso di Vienna. Il 20 di dicembre faceva annunziare la riapertura dell'Università di Siena; il che fu poi fatto con grande solennità e grande compiacimento della cittadinanza, «la quale non poteva dimenticare il torto fattole dai Francesi per favorire l'Università di Pisa».

I Senesi infatti tenevano molto alla loro Università, forse più che ad ogni altra istituzione cittadina. Lo Studio senese, la cui origine risale alla metà del Duecento, era uno dei primi sorti in Italia. Imperatori e principi gli avevano concesso, a più riprese, favori e privilegi sì che, col tempo, grazie anche al concorso degli studentI; tra cui molti stranieri; la sua fama venne sempre crescendo.

Anche dopo la caduta della Repubblica senese i Media; ed in particolare Cosimo, dedicarono attente cure all'Ateneo senese: una cattedra per l'insegnamento della lingua italiana fu istituita nel 1588, prima tra tutte le Università della penisola, proprio nello Studio senese, per volontà di Ferdinando I de' Medici. Lettore di «Tosca favella» venne nominato Diomede Borghesi, scrittore e poeta dell' epoca e gentiluomo di camera del Granduca Ferdinando. Né l'Università era l'unica istituzione culturale senese: nel 1525 era nata l'Accademia degli IntronatI; a carattere umanistico, che si occupava soprattutto di argomenti storici e letterari; alla fine del '600 Pirro Maria Gabrielli fondava l'Accademia del FisiocriticI; che annoverò tra i soci Lazzaro Spallanzani e Ludovico Antonio Muratori; i suoi Atti, la cui pubblicazione si iniziò fin dal 1761, rappresentano una pregevolissima raccolta di studi e di ricerche scientifiche. Nel 1531 dodici artigiani si riunirono in una «congrega», che chiamarono dei Rozzi; allo scopo di scrivere e rappresentare egloghe, mascherate, commedie villereccie, soggetti mitologici e storia; nel 1650 la congrega, salita nel frattempo in fama e arricchita di soci tra cui il noto commediagrafo senese Gerolamo Gigli prendeva il nome, che tuttora conserva, di Accademia dei Rozzi, continuando a svolgere, specie col teatro e con la musica, la sua nobile funzione culturale.

Il 25 di marzo del 1815, giungeva in Siena, diretto a Firenze, Pio VII, allontanatosi da Roma «per l'incursione del già Re Murat», che avanzava verso il Po affermando nel proclama di Rimini di voler combattere per l'indipendenza e la libertà d'Italia. - Nel maggio, ripassavano per Siena cardinali, prelati e nobili romani, che ritornavano a Roma, d'onde si erano allontanati col Pontefice. Vi giungeva in quei giorni, fermandosi alla locanda del Sole, anche Bonaparte, madre dell' ex Imperatore Napoleone.

Il 13 d'agosto del 1818, venne a Siena la Corte granducale, in gran gala, «e la città, come al solito, si prodigò in festeggiamenti ed in dimostrazioni copiose». L'anno seguente si recarono a visitar Siena, insieme col Granduca, l'Imperatore d'Austria e il principe di Metternich.

Ferdinando III morì il 18 di giugno del 1824. Un cronista senese - Vincenzo Buonsignori - scrisse che «la Toscana ne fu contristata; perché egli l'aveva tanto saviamente governata da conciliarsi l'affetto di tutti i partiti politici; così che la sua perdita cagionò un rimpianto generale».

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