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Tommaso della Fonte (n 1337 circa)

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Figlio di Nese, nacque a Siena da illustre famiglia, intorno al 1337.

La data esatta della nascita del Della Fonte non ci è nota. Tuttavia, dalla deposizione scritta dal domenicano Bartolorneo Dominici nell'anno 1412 per il così detto "processo Castellano" (l'inchiesta sulle virtù e sul culto di s. Caterina da Siena svoltasi a Venezia tra il 1411 e il 1416 per iniziativa di Francesco Bembo, vescovo di Castello) risulta che il Dominici nel 1368 aveva 24 anni e che, quando ne aveva 13, era stato novizio insieme col Della Fonte, il quale però aveva allora già "oltre" 20 anni. Dunque, l'anno in cui il Della Fonte ed il Dominici furono novizi insieme fu il 1357-58, mentre agli anni intorno al 1337 si deve far risalire la nascita del Della Fonte, se con il Fawtier non si interpreta troppo estesamente l'"oltre".

Nominato nei documenti sino al 1373-1374 come "Tommaso di Nese" (talora con la specificazione "da Siena"), il Della Fonte viene indicato in quelli successivi e nella agiografia cateriniana come "Tommaso Della Fonte". Il solo Dominici, nella ricordata deposizione, lo definisce "Thomas de Senis dictus de Fonte". Una tradizione, che risale all'erudito senese C. Cittadini e che è stata ripresa, per il tramite del Carapelli, da quasi tutti gli studiosi cateriniani, indica un Palmieri di Nese della Fonte come marito di Nicoluccia, sorella di s. Caterina da Siena: in lui il Grottanelli e altri hanno voluto vedere un fratello del Della Fonte, il quale sarebbe stato pertanto cognato della santa. L'ipotesi troverebbe conferma in una espressione usata dal Caffarini, uno dei primi biografi di s. Caterina, il quale nel Libellus de supplemento, riferendosi al Della Fonte, afferma che era "aliqualiter virgini attinens vel affinis". Tuttavia Raimondo da Capua, autore di quella che può essere considerata la biografia ufficiale della santa, la così detta Legenda maior, non allude nella sua opera a legami di parentela esistenti tra la famiglia di Iacopo di Benincasa ed i Della Fonte.

È certo che il Della Fonte venne allevato ("nutritus") nella casa di s. Caterina. I motivi di questo fatto non ci sono per niente chiari: i Della Fonte erano nobili; un Pietro di Andrea Della Fonte rivestì un'importante carica nel 1387. D'altro canto, le fonti, che testimoniano come il padre del Della Fonte fosse ancora vivo nel 1368, ci impediscono di pensare che il Della Fonte stesso fosse rimasto orfano in tenera età. Novizio, insieme col Dominici, presso il convento senese dei frati predicatori negli anni 1357-1358, entrò in religione tardi: "perfecte etatis" e "magnus", ironizza in proposito il Caffarini. Il Della Fonte ricevette gli ordini sacri, ma non sembra aver mai posseduto una grande istruzione. L'anonimo fiorentino autore dei Miracoli della beata Caterina di Iacopo da Siena, ilquale scriveva intorno al 1374, pone nell'agosto del 1362l'incontro- probabilmente il primo - tra la santa e il Della Fonte, venuto a consolare la di lei madre Lapa per la morte della figlia Bonaventura. In quella occasione la giovane Caterina si sarebbe confessata, previo consenso della madre, dal Della Fonte, al quale avrebbe rivelato la visione avuta tempo addietro fuori porta S. Ansano. Proprio in seguito a tale confessione Caterina avrebbe fatto voto di verginità, vestendo poi, tra il 1364 e il 1365, l'abito delle terziarie domenicane allora dette mantellate, associazione di pie donne di stato vedovile (fu la prima vergine a farne parte).

Il Della Fonte non risulta il primo confessore di Caterina di Iacopo di Benincasa, come per altro affermano nei loro scritti frate Raimondo da Capua e il Caffarini. Infatti, se non è dimostrabile l'ipotesi che l'autore della così detta Legenda maior sisia servito del termine "primus" per avvalorare la datazione al 1347 da lui indicata per la nascita della santa - nascita che deve essere invece retrocessa di dieci anni, al 1337, secondo la nota tesi del Fawtier -, la così detta Cronaca di S. Maria Novella ci indica comunque come primo confessore e padre spirituale di Caterina un frate Angiolo Adimari, il quale fu lettore nel 1302 in quel medesimo convento senese di S. Domenico cui appartennero sia il Della Fonte, sia il Caffarini, sia lo stesso fra' Raimondo da Capua.

Pura congettura, invece, è l'inserimento - sostenuto dal Fawtier - di Bartolomeo Montucci tra l'Adimari e il Della Fonte nella guida spirituale di Caterina. Il Jordan suggerisce di interpretare il termine "primus" come "il primo riconosciuto ufficialmente": in realtà fra' Raimondo e i suoi seguaci non sanno nulla né mostrano alcun interesse circa la biografia della santa negli anni anteriori al 1362.

Non possediamo notizie sul Della Fonte relative agli anni 1362-1367. Al 1368la von Seckendorff attribuisce due lettere (ediz. Tommaseo, nn. 41 e 25)che Caterina avrebbe indirizzato al Della Fonte presso lo "Spedaletto" di San Quirico, poiché la sottoscrizione del Della Fonte comparirebbe in un documento di quell'anno concernente l'acquisto dell'ospedale di S. Maria di Tinibaldo nel contado di Siena (Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, ms. B 56: Inventario Pecci, n. 23). Tuttavia, l'atto al quale la studiosa fa riferimento è stato rogato a Siena e l'ospedale di cui in esso si parla non è quello di San Quirico. Ad ogni modo sappiamo, per esplicita affermazione del Dominici, che questi, proprio nell'anno 1368, venne associato dal Della Fonte nelle visite a Caterina. Il Dominici divenne in tal modo il nuovo padre spirituale della santa, sia pure mantenendo per il momento una posizione subordinata, in quanto sostituiva il Della Fonte soltanto durante le assenze (Legenda maior, n. 202).

A partire da questo periodo, inoltre, il Della Fonte cominciò a valersi della collaborazione del Dominici anche per la stesura di quei Quaterni, poidetti Miracula, nei quali andava annotando i fatti salienti della vita della sua penitente e le visioni che ella aveva.

I Quaterni non ci sono pervenuti. Essi furono ampiamente utilizzati dai due principali agiografi di Caterina: fra' Raimondo da Capua, che compose la Legenda beatae Catharinae Senensis, piùnota come Legenda maior, tra il 1385 ed il 1390; ed il Caffarini, che tra il 1401 ed il 1418 scrisse il Libellus de supplemento legendae prolixae beatae Catharinae Senensis. Opera voluminosa ("pleni quaterniones": così li definisce nella Legenda maior, n. 199, fra' Raimondo), ricca di notizie sulla vita spirituale, sulle visioni e sulle rivelazioni della santa, redatta alternativamente dal Della Fonte e dal Dominici durante le ore notturne e non all'insaputa di Caterina, i Quaterni erano scomparsi già nel 1411, perché non risultano inclusi nell'elenco degli scritti d'argomento "cateriniano" esistenti nella casa veneziana di Niccolò di Guidiccione da Lucca fornito dal Caffarini nella deposizione resa al "processo Castellano". Tale sparizione non sarebbe stata, secondo il Fawtier, casuale. Dopo averla utilizzata, tagliata e modificata, il Caffarini si sarebbe infatti disfatto di quella fonte divenuta inadeguata - perché troppo semplice, spontanea e, soprattutto, troppo colma di precisazioni cronologiche - rispetto al monumento fuori dei tempo eretto alla santa senese da fra' Raimondo con la Legenda maior, e che lui stesso, con la Legenda minor ed il Libellus de supplemento, aveva contribuito a consolidare. Di diverso avviso sono il Conti e il Valli, che ritengono il Libellus de supplemento del Caffarini piùvicino all'originale che la Legenda maior.

Senza dubbio fra' Raimondo da Capua e il Caffarini desunsero in modo diverso anche quantitativamente dai Quaterni del Della Fonte. I prestiti appaiono piùrari ed equamente distribuiti nella Legenda maior: fra' Raimondo, che spesso cita esplicitamente il Della Fonte, preferisce in genere fare appello ai ricordi della propria esperienza. I passi mutuati dall'opera del Della Fonte ricorrono invece abbondantissimi, concentrati nella prima parte e nei primi sei trattati della seconda, nel Libellus de supplemento, dove il Caffarini parla del Della Fonte solo come "confessor" della santa. Solo per la narrazione dei miracoli della resurrezione di Lapa e della conversione di Andrea Naddini dei Bellanti sia la Legenda maior sia il Libellus de supplemento utilizzano il medesimo materiale tratto dai Quaterni.

Il "risentimento" del Fawtier nei confronti del Caffarini trae origine dalla constatazione che gli eventi, che appaiono datati nell'opera di fra' Raimondo, risultano desunti quasi tutti dai Quaterni (si vedano i nn. 186, 188-191, e 193 della Legenda maior, tutti relativi a fatti accaduti nel 1370); mentre il Caffarini, sopprimendo la maggior parte delle indicazioni cronologiche, trasforma il racconto di fatti realmente accaduti in racconto di visioni. Bisogna tuttavia sottolineare che le poche indicazioni cronologiche fornite dal Libellus de supplemento si riferiscono pressoché tutte all'anno 1370, così come quelle contenute nella Legenda maior: cfr. Libellus de suppl., II, 2, 12; II, 6, 23-26. Quello che il Della Fonte aveva scritto negli anni 1368-1374 "ad memoriam sempiternam" (Legenda maior, n. 181) insomma, non costituiva piùmateria di agiografia negli anni 1416-1417, quando il Caffarini componeva la Legenda minor.

Che ai Quaterni, del Della Fonte avesse attinto anche fra' Bartolomeo Dominici per la deposizione sulle vicende di Palmerina e della terziaria Andrea da lui resa - e poi ritrattata per volere del Caffarini - è supposizione in parte probabile del Fawtier.

Fonte anche "de auditu" della Legenda maior (cfr. n. 250) e del Caffarini, suo amico di gioventù, il Della Fonte non ha mai composto le "celebri laudi", che U. Cagliaritano gli attribuisce in un dizionario di cose senesi.

Il Della Fonte fu confessore di Caterina da Siena sino al maggio-giugno del 1374, quando questa venne convocata dinnanzi al capitolo generale dell'Ordine dei predicatori, riunito in Firenze, ed il delicato compito della sua direzione spirituale venne affidato, per ordine del maestro generale Elia da Tolosa, a Raimondo da Capua, che era stato eletto lettore di teologia a Siena. Anche se dopo questa data il suo nome non ricorre più nella Legenda maior, tuttavia il Della Fonte continuò a vivere accanto a Caterina per tutto l'ottavo decennio del sec. XIV, sino alla di lei morte, come testimoniano le altre fonti note, facendo parte della così detta "familia".

Nel luglio del 1373 il Della Fonte fu testimone alla stesura dei testamento di Giovanni di Lenduccio, che conteneva disposizioni in favore della sacrestia del convento di S. Domenico; e poi a quella del testamento della mantellata Francesca di Vanni di Goro: il necrologio di Camporegio non lo dice forse "in confessionum audentia... maxime mulieribus plurimum. gratiosus"? Sempre nel 1373 fu presente al capitolo conventuale del 1º ottobre.

Nell'anno seguente il Della Fonte partecipò al capitolo conventuale del 20 gennaio e, il 16 giugno, alla riunione convocata dal priore frate Taddeo da Orvieto per eleggere i rettori degli ospedali dell'Ordine. Intervenne anche, insieme a fra' Raimondo da Capua, al capitolo conventuale del 1º agosto. Nell'anno 1374, essendo scoppiata in Siena un'epidemia di peste, accanto a fra' Raimondo e a Caterina (che venne anchessa colpita dal morbo), si impegnò duramente nell'opera di soccorso, come risulta dalla testimonianza resa da Simonetta Neri in occasione del ricordato "processo Castellano". Negli anni successivi, quando si iniziarono i viaggi di Caterina da Siena, seguì la santa nei suoi spostamenti.

Nel 1375 era con lei a Pisa, e in quella città ebbe forse modo di incontrarsi con il Dominici; nel 1376 era con lei ad Avignone. Lo confermano sia la sua assenza dai capitoli di Camporegio del 1375 e del 1376, sia una lettera del novembre del 1376, indirizzata dal Maconi al Pagliaresi, che si trovava allora a Pisa. In questa lettera (Grottanelli, p. 263), infatti, il Maconi afferma tra l'altro che il Della Fonte faceva parte del gruppo che stava accompagnando Caterina, allora sulla via del ritorno da Avignone. Nel 1377 il Della Fonte seguì la santa a Genova e poi a Firenze, dove giunsero verso la metà di marzo. Prima dell'aprile, come si trae dalla deposizione resa da Mino di Giovanni al "processo Castellano", era con lei a Belcaro; dopo il 25 di quel mese - come riferisce F. Malavolti nella testimonianza resa al "processo Castellano", confermata da una lettera della santa a Caterina dello Spedaletto (ediz. Tommaseo, n. 118) - si trovava con lei in Val d'Orcia, dove, a Sant'Antimo, ebbe anche modo di svolgere il suo ministero di confessore e dove assistette al miracolo dell'indemoniato di Roccastrada, avvenuto nel castello di Tentennano.

Ignoti ci sono gli spostamenti del Della Fonte nel corso del 1378. In una lettera a fra' Raimondo (ediz. Tommaseo, n. 226), che è da attribuire alla metà di quell'anno, Caterina accenna a difficoltà spirituali sue e della "familia" da poco superate. Un po' prima, con un documento del 27 marzo, il papa Gregorio XI aveva concesso a Giovanni Tantucci, a Raimondo da Capua e ad un altro sacerdote appartenente ad un Ordine mendicante che avrebbe dovuto essere indicato da Caterina, il privilegio di assolvere i pubblici peccatori che la santa avesse convinto al pentimento e condotto al loro confessionale. Il Caffarini, nel Tractatus de Ordine fratrum... de poenitentia S. Dominici, afferma che il Della Fonte fu il sacerdote che venne scelto da Caterina. Non compreso tra le personalità invitate a Roma, insieme con la santa, da papa Urbano VI negli ultimi mesi dell'anno, nel 1379 il Della Fonte si trovava in quella città accanto a Caterina, e vi rimase fino al giugno, come testimoniano due lettere del Maconi al Pagliaresi datate, rispettivamente, 22 giugno e 2 luglio 1379 (ediz. Grottanelli, nn. XIII e XIV): in esse lo scrivente riferisce infatti che il Della Fonte era da poco rientrato in Siena. Forse è da collegare con questo soggiorno romano una lettera pervenutaci priva di data, in cui il Dominici, scrivendo a Maddalena Gangalandi in Siena, le rende noto che il Della Fonte era stato indotto a rinviare il proprio ritorno in patria a causa dell'insicurezza delle strade (ibid., n. XX). Nel 1380 il Della Fonte fu scelto dalla stessa Caterina per far parte, insieme con Raimondo da Capua, col Dominici, col Tantucci e con Tommaso Petra, del gruppo di intimi cui la santa affidò con lettera del 15 febbraio (ediz. Tommaseo, n. 373) il suo Libro della divina dottrina (noto come Dialogo della Divina Provvidenza);ma egli non è elencato dalla Legenda maior tra i testimoni del trapasso di Caterina, avvenuto poco tempo dopo a Roma, il 29 apr. 1380.

Il 15 ott. 1383 il Della Fonte ricevette da una pia donna, Cecca di Clemente, come lui appartenente alla "familia" di s. Caterina, un lascito di 4 fiorini d'oro e l'incarico di far inumare il di lei corpo a Roma, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Nel 1385 organizzò insieme con Raimondo da Capua (che però nel passo relativo della Legendd maior, nn. 305 s., non fa il suo nome, che si trae invece dal Libellus de supplemento del Caffarini) la traslazione del capo, di s. Caterina da Roma a Siena, dove lo fece deporre in un tabernacolo dorato nella sacrestia del monastero di S. Domenico. Eletto priore, in tale veste partecipò, il 20 marzo di quello stesso anno, al capitolo di Camporegio. Ricopriva quell'incarico ancora nell'anno successivo, quando il 25 luglio Raimondo da Capua, allora maestro generale, gli permise di alienare alcuni beni del convento romano di S. Maria sopra Minerva. In corrispondenza col Pagliaresi allora ad Agromaggio (Firenze), tramite il Maconi (ediz. Grottanelli, n. XXVI), il 4 febbr. 1387 si vide confermare i propri privilegi da Raimondo di Capua e nominare "operarius ecclesiae Senensis". Promotore in Siena del culto di s. Caterina, ne istituì la "memoria" annuale e curò che la santa venisse effigiata in S. Domenico e in altre fondazioni dell'Ordine.

Trasferito a Prato, dove la sua presenza è attestata a partire dal 5 febbr. 1387, divenne priore del locale convento domenicano. Il 20 luglio 1389 ottenne da fra' Raimondo il permesso di recarsi a Roma per tre mesi.

Morì il 22 ag. 1390, forse di peste, nel convento di Camporegio, come annotato nel necrologio di quella comunità (Grottanelli, p. 195). Per lui s. Caterina aveva chiesto ed ottenuto da Gregorio XI e poi da Urbano VI, alla presenza del Caffarini, l'indulgenza plenaria.

Il Della Fonte lasciò la cappa già stata della santa ad una sua nipote mantellata, Caterina Ghetti, che ne fece dono al Caffarini.

Solo cinque delle numerose lettere, che secondo il Caftarini Caterina da Siena avrebbe inviato al Della Fonte, sono giunte sino a noi: poiché nessuna di esse reca la formola di datazione, la loro cronologia è incerta. La prima, in cui la santa esprime il desiderio di vedere il suo direttore spirituale "affocato" nel sangue di Cristo, e nella quale menziona una Caterina forse da identificare con l'omonima nipote del Della Fonte (ediz. Tommaseo, n. 283), è stata variamente datata dalla critica storica, che l'ha attribuita ora agli anni anteriori al 1373, ora al 1375, ora al 1377, e ne ha indicato come probabile luogo d'invio o Pisa o Firenze per un riferimento al monastero di Ripoli. Altre due, inviate al Della Fonte residente a San Quirico (ibid., nn. 41 e 25), sono anteriori al 1373 perché dalla prima di esse si trae che egli svolgeva ancora il suo ufficio di direttore spirituale della santa: Caterina gli chiede infatti l'assoluzione. La quarta (ibid., n. 98) è mutila, mentre la quinta (ibid., n. 139), datata generalmente - ma con molti dubbi - Pisa 1375, pone seri problemi per l'identificazione dell'"arcivescovo" (di Pisa o di Otranto?) che vi viene citato e che, desiderando trattenere presso di sé Caterina, la spingeva a "passare l'obbedienza" dovuta al Della Fonte, il quale da Siena aveva informato Caterina delle mormorazioni provocate dal prolungarsi della sua assenza, suscitando la gioiosa reazione della santa, felice di essere giudicata male ingiustamente, così come lo era stato Cristo.

Non esaltante l'immagine che del Della Fonte fornisce nella Legenda maior fra' Raimondo da Capua. Questi infatti non tralascia occasione per criticare il modo con cui il suo confratello aveva condotto la guida spirituale della santa. Custode della cella di Caterina per i visitatori venuti a "provare" la santa, come risulta da numerose deposizioni rese al "processo Castellano", il Della Fonte non comprende che la sua penitente si accusa spesso, durante la confessione, di colpe che non ha commesso (Legenda maior, n. 44). Caterina, che si propone di obbedire al Della Fonte "in omnibus" (ibid., n. 80), che parla per tre anni solo con lui (ibid., n. 82), Si vede sottoposta a numerosi tmandati": il Della Fonte dapprima la obbliga a mangiare dopo le comunione e a non prestare fede alle visioni che le indicano di fare l'opposto; ma poi si convince delle "rationes" di Caterina e si rimette allo Spirito santo (ibid., n. 167: dove si afferma inoltre che il Della Fonte faceva tutto "ex zelo... bono, sed non secundum scientiam"). Il Della Fonte, sebbene malvolentieri, è spinto dai parenti e dai familiari di Caterina a rimproverare quest'ultima (ibid., nn. 168 e 403: dove l'ignoranza del confessore è posta tra le "persecuzioni" vinte dalla pazienza di Caterina). Il Della Fonte le proibisce la comunione frequente, fino a quando fra' Raimondo e la bolla di Gregorio XI la "consolano" su questo problema (ibid., n. 315). Caterina, che subisce prima dell'arrivo di Raimondo da Capua calunnie di ogni sorta (ibid., n. 405), che teme di offendere il confessore e prega Dio di illuminarlo (ibid., n. 169), che si vede imporre da lui di interrompere un lungo digiuno (ibid., n. 171), che si sente da lui anche derisa e rimproverata allorché gli confessa lo "stràppo" del cuore (ibid., n. 179), che viene da lui allontanata dall'altare per l'eccessivo fervore (ibid., n. 186: il fatto si riferisce all'anno 1370), fa poi mutare al Della Fonte di frequente proposito tramite le proprie preghiere (ibid., nn. 188 e 192).

Sulle interdizioni che il Della Fonte avrebbe imposto alla santa, il Caffarini rincara la dose nel sesto trattato della seconda parte del Libellus de supplemento: il Della Fonte obbliga Caterina a recarsi, per ascoltare la messa, in Camporegio anziché nella chiesa della Misericordia, e prova amarezza, turbamento e dubbio sui digiuni compiuti dalla sua penitente (ibid., II, 2, 6), la costringe a stare in compagnia (ibid., II, 3, 5), finisce con l'accusarsi per non aver saputo approfittare della grazia che gli era stata concessa da Dio tramite Caterina (ibid., II, 6, 52). Il Della Fonte era insomma persona senza dubbio devota, conclude il Caffarini, ma tanto rozza da far credere che il suo ingresso nell'Ordine dei predicatori non fosse stato dettato da alcuna ispirazione umana.

Incapace di convertire Iacopo de' Tolomei (Legenda maior, n. 233), il Della Fonte giunge in ritardo al banchetto nel giorno della traslazione del capo di Caterina (ibid., nn. 305 s.). Il Della Fonte è capace, però, di iniziative personali: dà, ad esempio, una sua versione degli insegnamenti di Caterina su un brano del Vangelo secondo S. Marco (ibid., n. 210), Stimola Giovanni il Converso a porre su di sé la mano guaritrice di Caterina (ibid., n. 218), intercede per Andrea Naddini (ibid., n. 225), inquisisce sul miracolo dei due malfattori convertiti (ibid., n. 270), porta l'indemoniata Larenzia da suor Alessia contro la volontà di Caterina (ibid., n. 300). Presente a numerosi miracoli compiuti dalla santa, viene anche lui salvato dai briganti sulla via di Montepulciano per le preghiere di Caterina lontana (ibid., nn. 282 s.).

Del tutto assente dalle pitture celebrative dei secc. XVI-XVIII, il Della Fonte venne annoverato, alla fine del sec. XVI, dal domenicano G. Lombardelli, tra i beati. I. Ugurgieri Azzolini, in Pompe sanesi, Pistoia 1649, gioca sul suo nome paragonandolo al Cefisio o al Clitunno. La confusione con il Caffarini (Tommaso d'Antonio) e con il Dominici (del Papenbroeck) viene chiarita dall'Echard.

DELLA FONTE, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

di A. Forni

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