Nel 1546 si svolse una caccia, fatta dalle Contrade della città, la quale sembra essere stata una delle maggiori, a quel che comprovano i ricordi che ne sono rimasti: una Lettera di Cecchino cartaio «alla Nobilissima et Onorata Madonna Gentile Tanucci» e due grandi quadri dell'epoca conservati nel Palazzo Pubblico di Siena, oltre a due dipinti riproducenti la stessa caccia, conservati nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
Dall'esame di questi documenti il letterato senese Alessandro Lisini poté ricostruire una caccia di tori in Siena nel 1546 e dal quadro da lui fattone ci è facile qui compendiarne le caratteristiche.
Gli animali destinati alle tauromachie senesi, scelti tra i più robusti e fieri delle mandrie e bandite di Maremma, venivano procurati dagli ebrei. Il combattimento (la «lidia») si svolgeva perlopiù nella conchiglia e il pubblico vi assisteva da solide stecconate erette intorno alla concava arena. Era preceduto da una sfilata di carri trionfali e dalle comparse e dagli alfieri delle contrade (corteo che ora precede la corsa del Palio) in testa alle quali si trovava, con le proprie bandiere, la contrada di Selvalta, che aveva il privilegio di essere la prima a dare il via a queste cacce. Suo motto: «Prima Selvalta in Campo».
La caccia del 1546, cui particolarmente ci riferiamo, fu preceduta dal lancio di grande copia di selvaggina sulla piazza. Sui cervi, sui daini, sui caprioli e sui cinghiali, si scagliarono gli appartenenti alle varie contrade menando colpi di lancia e di mazza all'impazzata, fra il grande frastuono dei cacciatori e degli spettatori. Ma «al primo mugghiare del toro quella calca si sparpaglia e si dilunga in un attimo. Tutti tornano di corsa ai loro posti: i cacciatori si affrettano a salire sopra le macchine, altri vanno a rifugiarsi dentro alle botti, che qua e là si vedono collocate. Ogni frastuono è quasi cessato ed ora non si sente una voce tanto gli animi rimangono attenti e sospesi. Due giovani vestiti con semplicità, tenendo la spada in mano, attraversano la piazza rimasta sgombra da ogni persona e si assidono a una tavola apparecchiata...
È una piccola tavola, ben confitta in terra, piena di vivande, di dolci, di frutta e di squisiti vini, accompagnata da due sgabelli, posta in mezzo alla piazza...
I due giovani, durante la caccia, devono assidersi a mensa senza mai distaccarsene e possono difendersi soltanto con la spada. Riuscendo, guadagnano un premio di dieci scudi d'oro ... ». Richiamano alla mente disegni tauromachici di Goya dove si vede un torero seduto, e uno legato sopra un tavolo.
Vediamo le varie fasi della «caccia» secondo la descrizione del Lisini: «Ormai il primo toro è libero. Si presenta al limitare della piazza con andatura incerta e sospettosa. Fatti pochi passi si ferma irresoluto e pauroso. Molestato da cani e provocato dai cacciatori con le spade e con le lancie, si difende come può, ma non assale; passa sotto alle macchine, e con le spade lo punzecchiano, lo martoriano; cerca di rifugiarsi, di appartarsi per qualche tempo, ma fatti pochi altri giri, un cacciatore che brandisce una mazza di ferro lo colpisce proprio sulla fronte e il toro vacilla e cade morto.
Invece il grosso bufalo che viene di seguito, di colore sporco e bigiastro, dagli occhi torvi, mugghiando, subito punta, a grandi lanci, dritto alla tavol dei due convitati. Essi hanno appena il tempo di alzarsi in piedi, di voltarsi e di impugnare le spade. Il bufalo si è fermato a quattro passi da loro. Li guarda per un momento e poi sbuffando li assale furiosamente con grandi cozzi. La tavola ha riparato i due giovani da quel primo assalto. La bestia ritenta, poi si allontana, e i due giovani credendosi sicuri si rimettono a mangiare; ma non è che una finzione. Il grosso bulafo, rifattosi indietro, tenta di sorprenderli nuovamente e con più vigore di prima. Abbassa il capo, e dà un così tremendo colpo alla tavola che, sebbene abbia le gambe tenacemente confitte in terra, ne rimane tutta sconnessa. Bicchieri e bocce si urtano e si rovesciano, e le carni, i dolci e le frutta rotolano a terra.
Alla sua volta il bufalo è assalito da fantaccini e cavalieri. È circondato viene ferito a morte; tuttavia si difende disperatamente, ancora precipitando a terra spadaccini, cavalli e cavalieri. I colpi si moltiplicano e sono così fitti e bene aggiustati che in breve il bufalo gira su se stesso e stramazza al suolo.
Ed ecco che esce allora un altro toro, che va risoluto ad assalire gli uomini alla tavola; ma inseguito dai cani e dai cacciatori non vi si trattiene. Corre infuriato all'impazzata per la piazza: trova davanti a sé uno spadaccino che agita un cencio rosso per aizzarlo e zimbellarlo, ed egli inviperito gli corre addosso e.con un gran colpo di testa, levatoselo sopra le corna, lo scaglia lungi da sé. Il poveretto tenta di rialzarsi, ma la bestia gli è di nuovo sopra con un cozzo più forte del primo. Da ogni parte cavalieri e cacciatori corrono verso il toro e lo distolgono. di là, mentre altri combattenti trasportano a braccia fuori del recinto il giovane ferito che non dà più segni di vita.
La lotta con il toro continua ancora per un poco ma infine un colpo di
spada lo fa stramazzare a terra moribondo».
Ad altri tori viene data la caccia. Ecco il combattimento con l'ultimo toro straordinariamente inferocito: «Posto appena in libertà, in un attimo gira tutta piazza. Assale, getta a terra uomini e bestie; investe, rovescia, precipita tutto quanto gli si para dinanzi. Neppure le botti sono un riparo sicuro a tanta furia. Le stesse macchine delle contrade schiantano ai cozzi del toro e minacciano di sfasciarsi. S'imbatte nella tavola apparecchiata e tenta al primo colpo di sollevarsela in capo. L'urto è così forte che uno dei due giovani convitati spaventato da tutta quella furia abbandona di corsa il suo posto.
Anche l'altro sta per fare lo stesso, allorché il toro si trova assalito da tutte le parti da cani e cacciatori. Il toro, cieco di rabbia e pieno di furore, si slancia sopra tutti e su tutto, in ogni luogo si vedono le tracce della sua furia sfrenata. Nessuno si crede più salvo nel posto che occupa; le donne alla vista di tanta strage si ritraggono dalla finestra e dai balconi e volgono spaurite la testa altrove.
Finalmente la bestia è stanca ma non ancora doma. Rallenta la corsa e tutti i cacciatori le vanno contro con le lance, spade e mazze; tutti le piombano addosso e la massacrano da ogni parte. Pare che tanti colpi vibrati da.tutte quelle robuste braccia non debbano darle scampo e che debba presto soccombere. Ma ecco, in mezzo alle grida e al fremito della moltitudine degli spettatori, il toro torna a farsi largo e rovescia e calpesta ancora i molti uomini che lo circondano. Altre frotte di cacciatori, non meno arditi, tornano all'attacco e lo attorniano di nuovo; ma il toro ricomparisce e si fa largo. Ha l'andatura più incerta; il suo piede non è sicuro e, per quanto può, assale ancora; fino a che da tutte le parti i cacciatori lo asserragliano completamente, né altro si vede che un continuo e fitto abbassare di armi sopra di lui. Un fragoroso batter di mani e un grido ai vincitori s'innalza da ogni parte della piazza.
Al termine della festa vien data la libertà a un giovane bufalo ricoperto di mortaretti, di razzi e girandole. Non appena che il bufalo è apparso ed ha fatto pochi passi i mortaretti incominciano a scoppiettare con grande frastuono e i razzi e le girandole a gettar torrenti di fuoco intorno a lui. Il bufalo ne rimane sbigottito e spaventato; fa salti da capriolo; ora si fa indietro, ora corre disperatamente o gira attorno a sé, a guisa di mulinello. Rallentate le esplosioni, diminuito il fuoco, i cacciatori lo assalgono; ma il povero animale è così intimorito che non resiste all'attacco. Il toretto fa pochi slanci e non sa da qual parte rivolgersi; passa rasente a una macchina, ed è trafitto da più colpi di lancia che lo fanno stramazzare esanime». E qui la descrizione ha termine.